Spalletti e Napoli, ora basta: la cittadinanza onoraria va revocata.

La revoca della cittadinanza è una decisione prevista anche dai regolamenti comunali ma con un sindaco juventino sarà difficile

Articolo di Vincenzo Imperatore31/10/2025

Il cerchio si chiude. Dopo la pantomima del tatuaggio sull’avambraccio, l’annuncio dell’anno sabbatico (terminato dopo appena due mesi) e la solenne dichiarazione “non potrei mai sedermi su un’altra panchina”, arriva la conferma: Luciano Spalletti sarà l’allenatore della Juventus.
Ieri, come riportato da Il Mattino, lo stesso tecnico ha detto: “La Juventus è un grande club con una grande storia… potrebbe essere la fortuna di qualsiasi allenatore”.

Parole che, al di là delle libertà professionali, completano un percorso di incoerenza simbolica iniziato molto tempo fa.

Quando, un anno fa, scrissi che la cittadinanza onoraria conferita a Luciano Spalletti meritava di essere revocata, qualcuno mi accusò di ingratitudine. Di voler rovinare il ricordo del tecnico che aveva riportato lo scudetto a Napoli dopo 33 anni. Non lo feci per spirito di polemica o rancore sportivo. Lo scrissi dopo aver letto le dichiarazioni sprezzanti contenute nel libro uscito poche settimane prima della conquista del quarto scudetto, in cui il “filosofo” attaccava pesantemente Aurelio De Laurentiis e, indirettamente, offendeva la città e i napoletani.
Un gesto ingiusto e intempestivo: mentre Napoli e la sua gente combattevano punto a punto per il tricolore, quelle parole rischiavano di destabilizzare l’ambiente e minare il clima di unità che aveva reso possibile quella cavalcata straordinaria.

Ma non era una questione di calcio — e non lo è nemmeno adesso.
Oggi, dopo l’annuncio del suo passaggio alla Juventus, la questione si fa più chiara che mai: il riconoscimento civico concesso a Spalletti è diventato incompatibile con il suo nuovo ruolo. E non per tifoseria, ma per rispetto istituzionale verso la città e i principi che quella onorificenza rappresenta.

La cittadinanza onoraria non è un premio sportivo, ma un atto solenne, con cui una comunità riconosce come “figlio” chi ne incarna lo spirito. È un titolo morale, non formale, che presuppone coerenza e rispetto del legame simbolico con la città.
Proprio per questo motivo, molti Comuni italiani hanno inserito nei propri regolamenti la possibilità di revocare l’onorificenza a chi “se ne renda indegno”.
E il Comune di Napoli? Pur non avendo un regolamento pubblicamente dettagliato, ha già esercitato questo potere: nel 2017, con la delibera n.199/2017, la Giunta comunale revocò la cittadinanza onoraria al generale Enrico Cialdini, motivando la decisione come “atto di riconoscimento della memoria storica delle vittime delle stragi”.

Dunque, non solo la revoca è possibile, ma è anche coerente con la prassi amministrativa del Comune di Napoli. Il caso Spalletti è diverso, certo: non si parla di crimini o di revisioni storiche. Ma resta il nodo della “dignità del titolo”.
Chi riceve la cittadinanza onoraria di Napoli la riceve come simbolo di appartenenza, come riconoscimento di un legame profondo con la città e la sua gente. Accettare poi di allenare la Juventus — la squadra simbolicamente più lontana, in ogni senso, dal sentimento popolare partenopeo — è una scelta che recide quel legame. Aldilà dei tatuaggi e delle dichiarazioni filosofeggianti.

Non serve demonizzare Spalletti: è libero di fare le proprie scelte professionali. Ma la città è altrettanto libera di difendere il valore morale dei propri riconoscimenti.

Il Consiglio comunale di Napoli, dunque, ha ogni strumento per valutare una revoca motivata, nel pieno rispetto dei regolamenti comunali italiani che prevedono la decadenza dell’onorificenza quando vengono meno le condizioni di rappresentanza, coerenza o rispetto simbolico verso la comunità che l’ha concessa.
In altre parole, non si parla di “indegnità morale” nel senso comune del termine, ma di incompatibilità istituzionale e valoriale tra il comportamento dell’insignito e il significato civico del titolo ricevuto.
E nel caso di Spalletti, tale incompatibilità è evidente: chi viene celebrato come “figlio adottivo” di Napoli non può, nel giro di pochi mesi, scegliere di rappresentare la squadra che storicamente incarna l’antitesi del sentimento partenopeo.
Non è una colpa, ma un’incoerenza sostanziale rispetto ai motivi del conferimento. Ed è proprio questo — secondo la logica dei regolamenti comunali — il presupposto legittimo per una revoca.

Perché Napoli non è una squadra: è un sentimento. E chi la tradisce, anche solo simbolicamente, non può restarne cittadino onorario.

Sono certo che questa revoca non arriverà mai.
Del resto, per chiederla servirebbe un sindaco che avverta quella ferita…
E a Napoli, forse, il problema è proprio questo: il sindaco è juventino anche lui.

Spalletti credits to Instagram lucianospalletti

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