Quella realtà imperfetta che non c’è più

Michele Pansini racconta l'inizio della sua Salernitana in Lega Pro. Il Var su richiesta e la poesia del gol disintegrata dalla lente d'ingrandimento delle telecamere.

Esultanza dei calciatori della SalernitanaEsultanza dei calciatori della Salernitana. Credit: profilo Facebook US Salernitana 1919
Articolo di Michele Pansini03/09/2025

Vi dico la verità: dopo la seconda retrocessione di fila (una specie di avvincente manuale su tutti gli errori da fare per sprofondare con poche mosse negli abissi con tanto di didascalie e foto) e dopo “il pasticciaccio brutto” dei playout rinviati, avevo davvero pensato che per un po’ avrei potuto anche fare a meno delle partite della mia Salernitana. Che vi devo dire, non un abbandono, ma almeno un modo per ritornare, piano piano, alla realtà. È già, la realtà , quella della serie C… ah, scusate, mo’ si chiama Lega Pro… Ero convinto che quella fosse la strada. Poi, quasi come se sotto pelle si fosse annidato tra tessuti, muscoli e memoria, una specie di orologio biologico, circa una settimana fa, mentre cercavo in rete una vecchia edizione del celebre libro di Vercors , “il Silenzio del Mare”, ho sentito la necessità, quasi fisica, di ritrovare frammenti di campo del mio primo amore granata. Sky, la Lega Pro la dà. E vediamo che succede. La prima in casa è stata surreale. L’Arechi vuoto è come una scuola elementare senza alunni, senza insegnanti, senza sedie, senza cattedre e lavagne e con i gessetti frantumati sul pavimento. Un misto di angoscia e disorientamento. Mi è bastato un tempo, quelle interruzioni infinite per capire se un gol è davvero un gol, per sprofondare in un sonno narcotizzante e protettivo. Basta così, ho rinfacciato a me stesso.

Domenica sera, però, a distanza di sette giorni, come capita nelle ossessioni che non finiscono mai, sono finito di nuovo davanti alla Tv. E che vi devo dire? La partita che ho visto con il calcio, inteso come trame di gioco, lampi di genio, folgoranti giocate, non ha avuto molta familiarità. Ma questo lo immaginavo già e non mi aspettavo di certo di trovare i dribbling di Giacomino Tedesco, le fughe e i tagli di Ricchetti sulla fascia e nemmeno il fiuto del gol di Giovanni Pisano e soprattutto la classe infinita di capitan “Dibba”, ma non è questo il punto, anche perché, in una squadra, che squadra ancora non è, il colpo di testa di Inglese ha restituito per un attimo luce ad una serata per lunghissimi tratti avvolta da una noia quasi spiazzante. Quello che però ho trovato davvero insopportabile è stata la vivisezione a cui il gioco più bello del mondo è stato ridotto con questo cugino cattivo del Var. Lo hanno chiamato FVS (Football Video Support) e può scattare o in automatico o su chiamata di una delle due panchine, che si giocano, se ho capito bene, con delle card, il destino e la partita.

Risultato: interruzioni continue e recuperi da record. Le prime giornate gli extra time (ora li chiamiamo così, mannaggia a loro!) sono arrivati anche a sfiorare, tra primo e secondo tempo, i 20 minuti. Ma ciò che davvero risulta imperdonabile non è neanche questo, ma è la privazione del potere poetico del gol a cui hanno ridotto il calcio. Chi potrebbe oggi, con questa “infallibile” e inesorabile sentinella, azzardare gioia o esultanza dopo una rete che si gonfia… e allora addio al portiere di Saba che fa capriole o a Pertini che dice non ci prendono più… alle curve che sobbalzano all’improvviso… Cos’è un gol? È esplosione improvvisa, emozione che trabocca, primavera inaspettata e braccia al cielo, come quelle di Pablito nella magica notte del Sarria o come il volto e le mani di Fabio Grosso nel 2006 che dicono non svegliatemi da un sogno troppo grande…