Advocaat, il marinaio del pallone

Parte questa settimana "Insolite coordinate - Il calcio raccontato da altre latitudini", rubrica firmata da Luigi Guelpa, giornalista e scrittore, che ci porta in viaggio tra Africa, Sud del mondo e letteratura calcistica. Racconti senza confini, tra storie dimenticate e grandi epopee del pallone, con lo sguardo unico di chi vive il calcio come narrazione universale. Questa settimana lo sguardo si poggia su Dick Advocaat, il marinaio del calcio, oggi ct del Curacao

Credit photo: ANP
Articolo di Luigi Guelpa12/10/2025

Io Dick Advocaat lo ricordo come si ricordano certi fotogrammi che non sbiadiscono mai, anche se la memoria, come il nastro di un vecchio vhs, ogni tanto salta, si increspa, si perde in righe bianche e fruscii.

Era il 29 giugno del 1988, finale degli Europei a Monaco di Baviera, e in quell’immagine c’era tutto il calcio olandese che avevo amato: genio e follia, disciplina e anarchia, orgoglio e ironia. Advocaat, con quel sorriso trattenuto, cercava di bloccare Rinus Michels — il generale — che stava per entrare in campo dopo il gol di Van Basten. Michels aveva le mani nei pochi capelli rimasti e un arsenale di by-pass nel petto. Quella rete al volo, scagliata come un verso d’amore all’Unione Sovietica, avrebbe potuto fargli saltare le coronarie.

Advocaat, allora, era un quarantenne che imparava dal maestro. Il calcio totale gli scorreva davanti come un poema epico, e lui, con l’umiltà del buon allievo, osservava ogni movimento, ogni pausa, ogni silenzio. Non era ancora il “piccolo generale”, com’è stato poi chiamato, ma già si intuiva in lui quella pazienza da infermiere di trincea che gli avrebbe salvato tante panchine.

Col tempo, Dick lasciò la clinica di Michels per salpare da solo, bussola alla mano, come un vecchio marinaio che ha deciso di fare il giro del mondo a tappe, cercando un porto che non esiste. Lo si è visto in ogni latitudine, sempre con la stessa espressione di chi non si stupisce mai del tutto: in Scozia sotto la pioggia di Glasgow, in Germania tra le nebbie renane, in Russia con le pellicce e la vodka, in Turchia con il muezzin che interrompeva gli allenamenti. È stato il tecnico di tutto e di tutti: Emirati Arabi, Corea del Sud, Serbia, Iraq. Un olandese errante, sempre in partenza, sempre con la valigia pronta e un quaderno pieno di appunti, perché — ne sono certo — anche gli errori, per lui, erano esercitazioni tattiche.

Oggi, a settantasette anni, guida la nazionale di Curaçao. Sì, proprio Curaçao: un frammento d’Olanda disperso nel blu dei Caraibi, dove il vento porta con sé l’eco dei porti di Rotterdam e l’odore di rhum. Qualcuno dirà che è finita lì, la sua avventura, in un esilio dolce e lento. Ma non è così. Venerdì scorso ha battuto la Giamaica, e martedì, in casa contro Trinidad e Tobago, si gioca la qualificazione ai Mondiali.

Le vittorie di Curaçao non sono miracoli tropicali: sono figlie dell’astuzia di Advocaat, che conosce il mestiere di chi sa sopravvivere al calcio e ai suoi cicli. Ha rastrellato l’Eredivisie come un vecchio cercatore d’oro, scovando figli e nipoti di emigrati partiti da Willemstad decenni fa. Li ha convinti con una telefonata, con un sorriso, con quel tono pacato che hanno solo gli uomini che hanno già visto tutto. Così, tra un passaporto olandese e un sogno caraibico, ha messo insieme una squadra che gioca con l’entusiasmo dei ragazzi e la disciplina dei figli del mare.

Mi ricorda, in questo, la Giamaica di René Simões, quando convocò gli anglo-giamaicani dispersi tra Londra e Birmingham, i rinnegati d’Inghilterra, per portarli al Mondiale del ’98. Ma Advocaat non è un romantico: è un realista con un’anima segreta. Sa che il calcio non è un sogno, è una nave che va tenuta dritta anche quando le vele si strappano.

E allora lo immagino ancora, davanti al campo di allenamento di Curaçao, con lo sguardo attento, le mani dietro la schiena, un filo di sorriso. Come quella volta a Monaco, tanti anni fa. Solo che ora, invece di trattenere Michels, trattiene il tempo.

E sorride ancora.

Credit photo: ANP