Gran premio del Messico: dove abbiamo assistito al lato oscuro del motorsport

Tra altitudine, tensioni nascoste e un’energia che non si vede… la corsa in Messico rivela anche il lato oscuro del motorsport

Una sezione della curva Foro do SolUna sezione della curva Foro do Sol all'ex Peraltada
Articolo di Fabio Marino27/10/2025

Liberty Media, società statunitense detentrice dei diritti della F1, invece di inseguire soldi facili aprendo le porte del motorsport dove non esiste una vera cultura automobilistica ma solo interesse per il business, dovrebbe concentrarsi sulle realtà dove la passione per le gare e per i piloti è autentica. In Sud America, e in particolare in Messico, si percepisce un affetto sincero per i “cavalieri del rischio”.

Questo sentimento ardente si manifesta soprattutto quando corre un pilota locale, ma qui sono amati e rispettati anche gli altri protagonisti del circus, che non vedono l’ora di tornare a gareggiare su uno dei circuiti che ha fatto la storia della massima serie.

L’Autodromo Hermanos Rodríguez non è un circuito di nuova concezione, sebbene il layout ricordi altri “tilkodromi” che sono caratterizzati da lunghi rettilinei e curve a novanta gradi, ma è uno dei più antichi dell’attuale calendario. La prima edizione risale al 1963, periodo in cui, dall’altra parte dell’oceano, i Beatles registravano e pubblicavano il loro primo album “Please Please Me”.

Rimaneggiato e modificato più volte per rispondere più alle esigenze degli sponsor che a quelle della sicurezza, fino agli anni ’90 presentava una delle curve più iconiche della Formula 1: la Peraltada, quasi gemella dell’altrettanto celebre Parabolica di Monza, solo che la curva messicana era più veloce a causa di un banking molto pronunciato. I piloti non disdegnavano di affrontarla al massimo della velocità. Chi ci riusciva era considerato un eroe dalla folla, chi falliva poteva andare incontro a gravi conseguenze, come accadde a Ricardo Rodriguez, che perse la vita proprio in quel tornante, o ad Ayrton Senna, vittima qui di un incidente spaventoso a bordo della sua McLaren.

Oggi della curva Peraltada non resta più nulla proprio perché si è voluto evitare che accadessero  per incidenti tragici. Al suo posto c’è una chicane che costeggia lo stadio di baseball, dove gli spettatori fanno sentire la loro presenza con canti, balli e fuochi d’artificio.

In questo scenario, domenica si è disputata la ventesima prova del campionato mondiale di F1, che ha visto vincere Lando Norris e ha alimentato, per l’ennesima volta, l’eccessivo protagonismo della FIA, che, come un deus ex machina, distribuisce penalità senza usare sempre lo stesso criterio e la stessa severità in situazioni analoghe. In sostanza, la federazione gioca a fare l’arbitro, ma non è mai coerente nelle decisioni che prende.

Basti pensare alla (giustissima) penalità inflitta a Hamilton, sanzionato con 10 secondi (forse troppi) per il taglio della chicane, mentre altri piloti che hanno commesso la stessa infrazione in “curva 1” non sono stati puniti, lasciandoci allibiti e delusi. Ed è anche per questo che i piloti non osano e non attaccano quando ne hanno l’occasione: in bagarre, basta una toccatina o una ruotata sull’erba per finire sotto la lente di ingrandimento della federazione, che decide spesso in base a simpatie o al peso politico delle scuderie. A ribadire questo concetto è stato proprio un pilota Ferrari che, ai microfoni nel post gara, ha espresso la sua delusione per la gestione dei commissari che usa sempre due pesi e due misure.

Si fa tanto per recuperare o resuscitare la passione di chi guarda le gare in TV, talvolta con trucchi o escamotage come il DRS, un sistema manuale che permette al pilota  in determinate zone della pista, di abbassare l’ala posteriore per  generare meno carico a favore di una maggiore velocità.  Però basterebbe poco: un regolamento semplice, chiaro, scritto e, naturalmente, lasciare che i piloti possano correre liberamente, senza vincoli inutili, lasciando che siano il talento e il coraggio a parlare. Free to race. Solo così si potrà ritrovare quella genuina emozione che ha reso la Formula 1 uno spettacolo unico e amato in tutto il mondo, dove la sfida vera è tra uomini e macchine, non tra regolamenti e penalità discutibili.