Maradona, il santo di Napoli

Maradona, più che un calciatore: un atto di ribellione, un santo laico, un simbolo di riscatto per Napoli e per tutto il Sud del mondo. Fabio Marino lo racconta come parte di una costellazione di anime — da Troisi a Pino Daniele — che hanno reso eterno lo spirito napoletano.

Articolo di Fabio Marino30/10/2025

Il 30 ottobre 2025 sarebbe stato il sessantacinquesimo compleanno di Diego Armando Maradona, El Pibe de Oro, il calciatore più amato e rappresentativo della storia napoletana. Una bandiera per il popolo del Sud, un simbolo di riscatto e, soprattutto, un orgoglio incancellabile per Napoli, una città che continua a ricordarlo con un affetto viscerale.

Napoli ha saputo donare al mondo tante figure capaci di incarnarne lo spirito più autentico — il Volksgeist napoletano — ma sono pochi quelli che, davvero, sono riusciti a raccontarla fino in fondo. Accanto al calciatore argentino troviamo, con orgoglio, Massimo Troisi, Pino Daniele, Luciano De Crescenzo ed Eduardo De Filippo: uomini diversi, eppure uniti da un’identica energia.

Tutti, a modo loro, hanno composto una costellazione di Napoli. Troisi, con la sua ironia malinconica, ha narrato un popolo che non si arrende, che affronta la vita così comme vene, senza vittimismi; Pino Daniele ha dato voce a una musica capace di fondere radici mediterranee e sonorità anglo-americane; Luciano De Crescenzo ha restituito la leggerezza della filosofia napoletana con parole semplici ma profonde; ed Eduardo De Filippo ha saputo ritrarre, con dignità e poesia, le contraddizioni di una città eterna.

E poi c’è Maradona, che tra tutti, ha incarnato l’anima viva di Napoli, quella che non smette mai di far parlare di sé. Con lui la squadra azzurra iniziò un ciclo di vittorie che, almeno per un istante, fermò il dominio delle squadre del Nord, sovvertendo l’immagine di un capoluogo troppo spesso dipinto come preda del caos, della corruzione e della disperazione.

A Napoli, però, il calcio non è solo sport: è sentimento, appartenenza, fede. Tanti sono stati i campioni e gli allenatori capaci di emozionare, ma nessuno ha saputo conquistare il cuore dei tifosi come Maradona. E non è un caso che, quando il Napoli calcio è tornato a vincere, l’entusiasmo e la passione siano esplosi in strada come in una preghiera collettiva, quasi a ringraziarlo, come se quelle nuove vittorie fossero un suo dono per la gente comune.

Ogni volta che scendeva in campo, ci si aspettava il suo miracolo: un tocco, un dribbling, un gesto in grado di trasformare un momento qualsiasi in una promessa di riscatto. Era la speranza degli ultimi, la sfida di chi sogna di cambiare un destino che sembra già scritto. Così, lentamente, Maradona divenne santo e protettore accanto a San Gennaro, mescolando, come solo Napoli sa fare, sacro e profano.

Non stupisce, dunque, che i tifosi lo abbiano innalzato oltre i trofei e le vittorie. Per loro non è stato soltanto meglio ’e Pelé, ma un uomo capace di giocare gettando sempre il cuore oltre l’ostacolo, con quella malizia tenera e ribelle che appartiene solo agli scugnizzi dei vicoli popolari.

Addirittura, anche chi non era napoletano, ma viveva ai margini delle città come quelli nelle bidonville, esultò per il gol segnato con la sua Argentina nel 1986 — la celebre Mano de Dios — non fu solo un gesto calcistico, ma un atto simbolico: la rivincita di tutto il Sud del mondo contro l’arroganza dei potenti, il grido di chi da sempre viene guardato dall’alto in basso. Non solo dell’Argentina, che ancora cercava riscatto dopo la guerra delle Falkland, ma di tutti coloro che, come Napoli, sanno vincere anche quando la vita li mette all’angolo.