La senti questa voce: ricordo di Nicolò Carosio, tra radio e televisione

Roberto Beccantini ci racconta di Nicolò Carosio, storica voce del calcio italiano, che rivoluzionò radiocronache e telecronache.

carosiocarosio
Articolo di Roberto Beccantini23/09/2024

La senti questa voce: oggi è un coro da stadio, con un epilogo non proprio elegante. Per noi ragazzi del Novecento, viceversa, era «the voice». Nicolò Carosio. Nato a Palermo il 15 marzo 1907, morì a Milano il 27 settembre 1984. Venerdì, dunque, saranno 40 anni. Era figlio di un ispettore di dogana e di una pianista maltese di sangue british. Il nonno gestiva un negozio di libri. Seguendo l’augusto genitore in un viaggio in Inghilterra, scoprì Herbert Chapman, allenatore dell’Arsenal e inventore del Sistema. Lo beccò a scandire una radiocronaca, in differita, durante gli allenamenti. A scopo didattico. Ne rimase folgorato. Girò il progetto all’Eiar e si mise a simulare un derby tra Torino e Juventus. Poco ci mancò che i commissari non facessero la ola. Il debutto ufficiale, in radio, risale al 1932, in occasione di un’edizione di Juventus-Bologna.

Passando alle telecronache, la prima in assoluto fu un allenamento della Nazionale a San Siro, il 21 ottobre 1953, tra squadra Gialla e Squadra Verde, finita 4-2 per i gialli. La commentò con Carlo Bacarelli. Ci sono foto che lo immortalano a bordo campo: l’impermeabile, i baffi, il microfono che pare una bomba appesa a un palo e la voce, quella voce. Pastosa il giusto, lenta quanto bastava, e soprattutto tiranna: ci incatenava alle sue versioni, che non sempre – come sarebbe affiorato dall’irruzione «visiva» – corrispondevano agli episodi.

Il 4 maggio 1949 avrebbe dovuto trovarsi sull’aereo che riportava a casa, da Lisbona, il Grande Torino. La cresima del figlio, motivo per cui non era salito sul trimotore, gli evitò Superga. Non c’era il web, c’era il passaparola, Nicolò diventò comunque un personaggio. Il suo «whiskaccio» e il suo «quasi gol» entrarono nel lessico dei bar, incuriosirono persino i soloni della Crusca.

Alternava radiocronache a telecronache come, per esempio, in Svizzera nel 1954. Il suo primo Mondiale «tutto» televisivo fu in Svezia, nel 1958: l’epifania di Pelé e Garrincha. A ruota, dopo il ritorno in radio nel 1962, perché non era possibile la diretta televisiva, le edizioni del 1966 e del 1970. Il politically correct lo aspettava al varco di Italia-Israele 0-0, al Mondiale messicano del ‘70. Gli procurò fama e grane. Seyoum Tarekegn, guardalinee etiope, aveva annullato un gol di Gigi Riva per fuorigioco. Carosio descrisse così l’azione: «Rete! L’arbitro ha convalidato il punto. Però il guardalinee ha alzato la bandiera. Ma siamo proprio sfortunati!».

Per ben due volte lo definì «l’etiope». Apriti cielo. L’Etiopia, Addis Abeba, le mire del Duce, il giogo coloniale italiano. Si diffuse la leggenda metropolitana che avesse usato un termine spregiativo, razzista: «quel negro». Niente di più falso. Il 31 maggio 2009, alla «Domenica Sportiva», Massimo De Luca diffuse le esatte parole pronunciate da Carosio e chiarì definitivamente il caso. Con l’apporto di Pino Frisoli, De Luca aveva recuperato l’audio originale del dopo-gara trasmesso in radio, dal quale emerge, distintamente, una battuta di Antonio Ghirelli, all’epoca direttore del «Corriere dello Sport», al microfono di Mario Gismondi: «Possiamo definirla come la vendetta del Negus». Ghirelli, non Carosio.

Sollevato da impegni azzurri, commentò Brasile-Uruguay e la «finalina» Germania Ovest-Uruguay. La Rai gli affidò poi le telecronache di Ajax-Panathinaikos (finale di Coppa dei Campioni 1971) e, 24 ore dopo, di Leeds-Juventus (finale-bis di Coppa delle Fiere). Chiuse il 15 dicembre ‘71, da Charleroi, con la sfida tra le rappresentative di Lega di Belgio e Italia.

Pensionato, si diede al cinema («L’arbitro», recitando sé stesso), alle emittenti private, a «Topolino» (dove teneva una rubrica settimanale). Nel centenario della nascita, le poste italiane gli hanno dedicato un francobollo, onore concesso agli eletti. In morte di Carosio, Gianni Brera vergò su «la Repubblica» un epicedio memorabile. «Ricordo di avere strabiliato a volte sentendolo iniziare il racconto di un’azione azzurra improvvisamente interrotta da un gol che era segnato dagli avversari. […] La voce di Nick si arrochiva fino al dispetto».

Con la radio, ci fece prigionieri. La televisione ci liberò, ma nessuno festeggiò

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