Il carro di Picchippò (e quelli che ci saltano su e giù)

"Frattaglie – Il pallone visto dal lato storto", la rubrica dissacrante e appassionata in cui Vincenzo Imperatore racconta il calcio con osservazioni sparse, provocazioni e lo sguardo libero del tifoso, questa settimana ci porta sul carro di Picchippò

photo by AIphoto by AI
Articolo di Vincenzo Imperatore28/10/2025

Si sale in silenzio, si scende urlando. È il “carro di Picchippò”.
Un’espressione antica, nata a Napoli verso la fine della Seconda guerra mondiale e tante volte ripetuta da mia madre. Dalla stazione, la gente vedeva partire verso la Germania i treni dei deportati. Su quei vagoni era scritto il nome del campo di concentramento di destinazione: un nome impronunciabile, che i napoletani storpiarono in “Picchippò”.

Da allora, ‘o carro ‘e Picchippò è diventato nel linguaggio popolare il simbolo di chi parte insieme, in mezzo a ogni tipo di diversità, per un viaggio incerto e difficile. Tutti stretti, tutti uguali, uniti dalla voglia di sopravvivere e di condividere. Ma, come in ogni storia napoletana, anche qui c’è il colpo di scena: sul carro salirono pure i “traditori”, i fiancheggiatori dei nazisti. Abbagliati dalle promesse di chi li avrebbe poi fregati.

Così la metafora si è trasformata: da simbolo di solidarietà a emblema di confusione, opportunismo e voltagabbana. E da allora, a Napoli, quando qualcuno cambia idea alla velocità della luce, si dice che è salito sul carro di Pickipò.

Ecco, il carro di Picchippò oggi è tornato a viaggiare. E il biglietto lo hanno timbrato in molti: i commentatori, i tifosi dell’ultimo minuto, i professori del dopo partita. Tutti pronti a dare consigli tattici ad Antonio Conte — l’allenatore più efficiente (e forse il migliore) della storia del Napoli — come se stessero correggendo i compiti a un alunno distratto.

Solo che sabato scorso Conte ha vinto una partita strategicamente perfetta contro una squadra molto più forte del Napoli. Eppure c’è chi continua a mugugnare, dimenticando che il Napoli non è il Real Madrid, ma un miracolo calcistico-imprenditoriale costruito con metodo, sudore e intelligenza.

È sempre la stessa storia: quando si vince, tutti sul carro; basta un pareggio, e giù di nuovo, a saltare dall’altra parte. Ne avevo già parlato su Il Fatto Quotidiano qualche anno fa.
La spiegazione? Antropologica, sociologica, culturale e — come sempre, a Napoli — tremendamente umana. Perché il carro di Pickipò, oggi come allora, è pieno di gente che sale e scende. Solo che, a differenza di allora, stavolta lo fa perché è diventato illogicamente esigente, non per sopravvivenza.

E oggi si gioca di nuovo. Lecce–Napoli.
E già me li immagino, pronti: se il Napoli dovesse anche solo pareggiare, li vedrai scendere di nuovo in massa dal carro, gli stessi che oggi sventolano la bandiera del “grande Conte”.

È la solita giostra napoletana, fatta di entusiasmo e impazienza, di amore e giudizi lampo. Perché a Napoli si passa dal paradiso all’inferno in novanta minuti: basta un gol preso male per ribaltare tutto.

Il carro di Picchippò continua il suo viaggio, tra salite e discese, tra applausi e fischi.

E, come sempre, a tenere il timone resta lui, Antonio Conte, che per fortuna – almeno lui – non ha il vizio di scendere.

Credit photo by Instagram profile of El Grafico

Barillete cósmico, siempre – La prima Special Edition di Sport del Sud

“¡Barillete cósmico! ¿De qué planeta viniste?” gridò Víctor Hugo Morales dopo il gol del secolo. Da...

Foto di chris robert su Unsplash

Lo sport più faticoso di tutti

Dal quadernino delle classifiche di un bambino al presente di un movimento che lotta per...

Il privilegio della lentezza

La responsabilità di un direttore di una rivista di letteratura sportiva è custodire il senso...

Credit Photo profile facebook SSC Napoli

Un invito per mister Conte (e per i giornalisti)

Per la rubrica "Frattaglie - Il pallone visto dal lato storto" Vincenzo Imperatore fa un...