La stoccata di Masaniello: quando la sciabola parlò italiano
Napoli ha forgiato campioni che hanno trasformato l'eleganza della "stoccata" e la velocità della vita partenopea in medaglie olimpiche, portando sui tappeti internazionali un'arte antica che profuma di tufo e gloria.
La stoccata napoletanaNei vicoli di Napoli, dove la luce scivola obliqua tra i palazzi e ogni gesto è danza, ogni parola musica, ogni momento teatro, si è forgiata una tradizione che ha saputo trasformare l’eleganza barocca delle chiese in grazia atletica, la minuzia degli artigiani del presepe in precisione millimetrica, la velocità istintiva della vita quotidiana in fulmineo riflesso competitivo. La scherma napoletana non è solo sport: è espressione culturale, è codice ancestrale che dai salotti aristocratici dell’Ottocento è giunto fino alle pedane olimpiche, portando con sé la stoccata come anima di una città che ha fatto dell’arte del movimento la sua cifra distintiva.
Le radici aristocratiche e popolari
Nel 1861, mentre l’Italia nasceva come nazione, tre gentiluomini partenopei – il cavaliere Carlo Cinque e i maestri Giacomo Massei e Annibale Parise – fondarono la Grande Accademia Nazionale di Scherma di Napoli, punto di convergenza di una tradizione schermistica risalente al XV secolo. Era il tempo in cui la scherma napoletana ambiva a diffondersi in ogni quartiere della città, portando l’arte della “stoccata” tra il popolo, democratizzando un sapere che fino ad allora apparteneva all’aristocrazia. Nel 1882, Masaniello Parise vinse il concorso ministeriale per il primo trattato ufficiale della disciplina sportiva della scherma, codificando quei principi che avrebbero reso la scuola napoletana riconoscibile nel mondo.
I campioni che hanno fatto la storia
Da quella fucina sono usciti atleti capaci di portare l’identità partenopea sui gradini più alti del podio internazionale. Sandro Cuomo, nato a Napoli nel 1962, concluse la sua straordinaria carriera nel 1996 conquistando l’oro olimpico nella spada a squadre ad Atlanta, dopo aver già vinto il bronzo a Los Angeles nel 1984 e tre titoli mondiali a squadre. La sua stoccata finale nei quarti di finale di Atlanta assicurò la vittoria per un solo punto, incarnando quella capacità tutta napoletana di risolvere le situazioni nei momenti di massima tensione.
Luigi Tarantino e Diego Occhiuzzi, entrambi napoletani, con le loro stoccate hanno dominato la sciabola italiana nei primi due decenni del nuovo millennio. Occhiuzzi, nato nel 1981, conquistò l’argento olimpico individuale a Londra 2012 nella sciabola, oltre ai bronzi a Pechino 2008 e sempre a Londra nella gara a squadre. La sua affermazione fu particolarmente emozionante: dopo anni vissuti “all’ombra di grandi campioni”, come dichiarò lui stesso, si impose come “vice campione olimpico”, mentre il pubblico londinese scandiva il suo nome in un crescendo di emozione. Insieme a Tarantino, anche lui napoletano del 1972, formò una coppia capace di conquistare titoli europei e bronzi mondiali.
L’eleganza della stoccata che vive ancora
La scherma napoletana continua a produrre talenti che onorano quella tradizione secolare. Rebecca Gargano, nata a Napoli nel 1996, ha conquistato l’argento agli europei 2015 di sciabola femminile e nel 2025 è diventata campionessa italiana. Valerio Cuomo, altro schermidore partenopeo specializzato nella spada e atleta di interesse nazionale, porta avanti una linea che unisce generazioni.
C’è qualcosa di profondamente napoletano nel modo in cui questi atleti si muovono in pedana: l’eleganza non è affettazione ma necessità, come nelle volute dorate del barocco che decorano Santa Chiara o il Gesù Nuovo. La precisione non è freddo calcolo ma passione artigiana, quella stessa che spinge i maestri presepiali a scolpire ogni ruga, ogni piega di stoffa dei loro pastori. E la velocità non è fretta ma prontezza, quella che si impara camminando nei vicoli, schivando motorini e carretti, leggendo la città come un testo che cambia ad ogni istante. Sui tappeti internazionali, quando un napoletano impugna la sua arma, porta con sé secoli di cultura, un codice gestuale che parla di popolo e aristocrazia insieme, di fatica e bellezza, di quella capacità tutta partenopea di trasformare la vita quotidiana in arte.
