Senza l’avversario non c’è gioco
Parte oggi “La mente in campo”, la rubrica del Prof. Alberto Cei, psicologo dello sport. Perché nel calcio — come nella vita — la testa fa la differenza. Primo appuntamento sul tema del calcio e della gratitudine verso chi ci mette alla prova.

Nell’inaugurare questa nuova collaborazione con Sport del Sud mi piace partire dall’idea che il calcio è molto di più della partita della domenica. E’ divertimento e sfida, collaborazione e coraggio.
Il calcio si può giocare ovunque e la palla è magica perchè si presta a farsi guidare da un bambino come da un campione, la palla permette di esprimere i nostri sogni e dopo ogni errore è ancora lì per un’altra volta.
Il calcio è uno sport che insegna a chi vuole imparare che non bisogna lasciare nulla d’intentato, perchè come diceva Renato Cesarini, di rimpianti si muore. I primi due calciatori di cui ho ricordo sono Omar Sivori e Gigi Meroni, due esempi di coraggio e di creatività estrema.
Oggi il calcio ha preso nella maggior parte del mondo un’altra strada privilegiando l’atletismo, la forza e la tattica a dispregio dello sviluppo delle qualità più personali di un giocatore che riguardano la tecnica, la sua individualità in un contesto collettivo e il desiderio di giocare al meglio sino alla fine della partita e non in funzione del risultato. Mi piacerebbe che i giovani calciatori potessero esprimersi più liberamente sul campo, che imparassero sviluppare il loro istinto di gioco, che gli venisse insegnato che si diventa dei bravi calciatori solo sbagliando e correggendosi continuamente e che gli avversari vanno sempre ringraziati perché con il loro impegno forniscono l’occasione di d’imparare e migliorare.
Senza la squadra avversaria il calcio non sarebbe stato definito come il più bel gioco del mondo. Ricordiamocelo tutti.