Ma tu dove hai giocato? Da nessuna parte. E allora?
Frattaglie – Il pallone visto dal lato storto. Rubrica dissacrante e appassionata in cui Vincenzo Imperatore racconta il calcio con osservazioni sparse, provocazioni e lo sguardo libero del tifoso.
Credit photo by Shelby Murphy FigueroaSocial, calcio e il diritto di parola
C’è un mantra che rimbalza puntuale ogni volta che un cittadino-tifoso osa dire la sua sul calcio: “Ma tu dove hai giocato? Dove hai allenato? Dove hai scritto mai?”.
Lo pronunciano con aria di superiorità, come se stessero svelando la verità definitiva. In realtà, a dirla tutta, spesso a recitare questa litania sono personaggi che hanno militato in categorie da oratorio, infangato campetti di periferia con duecento spettatori (di cui 150 parenti), o che scrivono articoli su testate che non si fila nessuno: fogli parrocchiali spacciati per giornali sportivi, blog di condominio letti solo dal portiere.
E mentre loro tentano di tapparti la bocca con titoli millantati, la realtà è che il post di un comune cittadino- tifoso può raccogliere mille interazioni, centinaia di commenti, essere condiviso e discusso più di un editoriale su un giornaletto di provincia. Il paradosso è servito: chi accusa di “incompetenza” finisce spesso per avere meno voce di chi si limita a raccontare il calcio con passione e intelligenza, senza alcun biglietto da visita.
Il punto è che il calcio non è una scienza esatta né un club esclusivo riservato agli addetti ai lavori. È uno spazio popolare, universale, che appartiene a chiunque lo viva, lo guardi, lo discuta. Pretendere che ne parlino solo gli “esperti” equivale a dire che non puoi criticare un film se non sei regista, non puoi giudicare un concerto se non suoni il violino, non puoi commentare una legge se non hai la toga. Una follia.
Ed è qui che i social hanno ribaltato il tavolo. Certo, hanno dato parola a tutti, anche a chi non sa mettere insieme due concetti o a chi usa la tastiera come una clava. Ma hanno creato qualcosa di inedito: uno spazio in cui l’opinione di chiunque può arrivare a chiunque. Un ministro, un presidente del Consiglio, un dirigente sportivo: tutti potenzialmente leggono ciò che scrive un tifoso comune. Non era mai successo prima. È democrazia pura, diretta, istintiva.
Naturalmente questa libertà ha un prezzo: bisogna rispettare le regole minime di convivenza. Educazione, rispetto, buone maniere. Senza, la piazza diventa una fogna.
(Io, per esempio, non perdo tempo: blocco direttamente il profilo senza regalare la soddisfazione di una risposta).
Ma quando queste condizioni ci sono, la potenza dei social è rivoluzionaria. Danno voce a chi prima non l’aveva, permettono a chiunque di entrare nel dibattito pubblico, di farsi ascoltare, di smontare le verità calate dall’alto.
È una piazza rumorosa, certo, a volte sgangherata, ma è anche la più grande forma di democrazia che il calcio – e non solo – abbia mai conosciuto.
E allora, la prossima volta che qualcuno prova a zittire un cittadino-tifoso con la solita frase “Ma tu chi sei?”, la risposta dovrebbe essere semplice, secca e ironica: sono un tifoso. E guarda caso, la mia voce arriva più lontano della tua.
