Milioni e solitudine: quando il calcio dimentica chi lo ama davvero
Green card settimanale ai tifosi del parma che ci ricordano che la vera essenza del calcio prescinde dai milioni dei diritti televisivi

Ci sono immagini che raccontano meglio di mille parole cosa sia davvero il calcio: gli stadi pieni, i cori che risuonano, le bandiere che sventolano al vento. È questa la vera linfa del pallone. Non sono i milioni dei diritti televisivi a tenere gonfio il pallone, ma la passione dei tifosi. Quella che si tramanda di padre in figlio, che si vive sugli spalti, che accende rivalità e crea legami. Senza tifosi, il calcio perderebbe la sua anima, riducendosi a un semplice prodotto da vendere.
Il business supera la passione
Negli ultimi anni, però, il pallone sembra parlare sempre più il linguaggio dell’economia e sempre meno quello del cuore. Nel 2024 i ricavi complessivi della Serie A hanno superato i 3 miliardi di euro, di cui quasi il 60% proveniente da diritti televisivi e sponsor. Una cifra enorme, ma che racconta anche una dipendenza crescente da logiche di mercato e da investitori stranieri.
Intanto, il pubblico sugli spalti resta la vera forza del movimento. La media spettatori della Serie A 2023/24 è stata di circa 30.500 persone a partita, la più alta dal 1991. Un segnale chiaro: la gente vuole esserci, vuole vivere il calcio dal vivo, non solo dietro uno schermo. Eppure, tra biglietti sempre più cari e partite spostate per esigenze televisive, essere tifosi sta diventando un lusso.
A questo si aggiungono scelte che lasciano perplessi. La Supercoppa Italiana, disputata in Arabia Saudita dal 2018, frutta alla Lega circa 23 milioni di euro a edizione, ma toglie ai tifosi la possibilità di vivere la partita in casa propria. Nel 2025, per la prima volta, si giocherà con la formula “Final Four”, sempre a Riad.
Non va meglio per la Coppa Italia, la cui formula favorisce le grandi squadre: entrano direttamente agli ottavi e giocano sempre in casa. Un sistema che penalizza le realtà minori e rende il torneo sempre meno competitivo.
Ora si parla persino di portare alcune partite di Serie A in Australia o negli Stati Uniti, sull’esempio della Liga spagnola. Un’idea che può far sorridere gli sponsor, ma che rischia di allontanare ulteriormente il calcio dalla sua base popolare.
Il cuore del calcio batte sugli spalti
Ricordare che “il calcio è dei tifosi” non è retorica, ma una necessità. Significa difendere il diritto di vivere questo sport come esperienza collettiva, fatta di emozioni e appartenenza.
I tifosi non sono spettatori: sono protagonisti. Sono loro che tengono viva la memoria, che fanno grande la storia dei club e che riempiono gli stadi anche nelle giornate più fredde.
Ascoltarli, rispettare le tradizioni e garantire stadi accessibili non è solo una questione di principio, ma di sopravvivenza. Perché se il calcio dimentica chi lo ama davvero, rischia di svuotarsi, non di aria, ma di senso. E allora sì, il pallone smetterebbe di battere al ritmo del cuore.
