Lo sport più faticoso di tutti
Dal quadernino delle classifiche di un bambino al presente di un movimento che lotta per sopravvivere. Il ciclismo del Sud vive tra passione e sacrificio: numeri che fanno riflettere, famiglie che non si arrendono, allenatori che attraversano l’Italia per un sogno. Perché dove c’è un ragazzo che pedala, c’è una bella anima che si fa largo nella vita.
Foto di chris robert su UnsplashNello sport del Sud ci trovi dentro passione, sacrificio, gioia e tante difficoltà.
Sono le quattro parole che mi tornano in mente ogni volta che ripenso a mio padre. Quando gli chiedevo quali sport amasse di più, rispondeva senza esitazione: “il calcio”. Ma non lasciava passare neanche un decimo di secondo prima di aggiungere, con un sorriso: “….e il ciclismo”.
Fu lui a trasmettermi quell’amore. Da bambino seguivo tutte le grandi corse a tappe con un quadernino in mano: giorno dopo giorno annotavo il podio (e i relativi distacchi), la maglia rosa, quella gialla, la ciclamino o verde dei velocisti, l’azzurra o a pois rossi degli scalatori. Mi sembrava di viaggiare con loro, tra salite e discese, dentro la fatica e la gloria.
Poi arrivò il tempo della delusione, il ciclismo ferito dal doping, e quella frase di papà che mi era rimasta dentro — “è lo sport più faticoso di tutti” — sembrava aver perso purezza. Ma oggi, da direttore di una rivista che vuole raccontare emozioni più che notizie, sento il bisogno di tornare a quel vecchio amore.
Mi chiedo: al nostro Sud esiste ancora la stessa passione? La stessa gioia? Lo stesso spirito di sacrificio?
La risposta è sì. Anche se è un sì pieno di salite (le difficoltà).
In Campania, il ciclismo non è mai stato terreno fertile per i grandi campioni, ma è sempre stato un terreno di cuori tenaci. Oggi, tra mancanza di strutture, disinteresse delle amministrazioni e costi sempre più alti, chi sceglie di salire in sella compie un atto di resistenza.
I numeri parlano chiaro: appena 2.484 tesserati e 105 società sportive iscritte alla Federazione. Pochi, pochissimi se pensiamo alla tradizione ciclistica italiana. Questi dati fanno già riflettere: praticare ciclismo in Campania è difficile, figuriamoci sfornare talenti.
Eppure, le radici ci sono. Esistono società serie e appassionate che fanno attività giovanile tra i 7 e i 12 anni, insegnando ai bambini a vivere la bicicletta come una compagna di viaggio e non come uno strumento di fatica. Ma quel piccolo ecosistema, già fragile, si spezza spesso al primo tornante: il passaggio alla categoria esordienti (13–14 anni) diventa un muro.
Non per mancanza di vocazione, ma per mancanza di risorse.
Allenamenti più frequenti, trasferte più lontane, bici più costose, manutenzione continua: tutto ha un prezzo, e spesso un prezzo che le famiglie non riescono più a sostenere. Basta pensare che quasi ogni fine settimana le gare, soprattutto per i ragazzi più grandi, si svolgono fuori regione.
Per molti genitori significa centinaia di chilometri, viaggi notturni, giorni di lavoro persi. Eppure lo fanno. Per amore.
In questo scenario, il ciclismo sembra ancora una scuola di vita più che uno sport: insegna il sacrificio, la costanza, la resistenza alle cadute e alle salite. Ma allo stesso tempo espone la fragilità di un sistema che non protegge i suoi sogni migliori.
Oggi l’età media per il passaggio al professionismo si è abbassata: a 17 o 18 anni, nella categoria juniores, se un ragazzo comincia a vincere gare nazionali può già essere notato, persino contrattualizzato.
Significa che chi vuole provarci non può permettersi pause, errori o mancanza di sostegno.
Significa che il talento va coltivato presto, e con coraggio. Vincenzo Vito, Michele Pascarella, Giuseppe Sciarra, Emanuela Sferragatta, Gennaro Di Lena: segnatevi questi nomi perchè tra questi ragazzi del Sud potrebbero esserci dei futuri campioni
Eppure, nonostante tutto, ci sono ragazzi che si allenano incessantemente, famiglie che caricano le bici sui portapacchi, allenatori che percorrono mezza Italia per essere accanto ai loro giovani corridori.
Ci sono piccole imprese che sponsorizzano, bar di paese che aiutano, scuole che incoraggiano.
Ci sono ragazzini che vincono e portano in alto lo sport del Sud.
Perché, alla fine, dove c’è un bambino che fa sport, c’è una bella anima che si sta facendo largo nella vita.
E quella, nel Sud, non smetteremo mai di raccontarla.
