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Immaginando un’intervista a Johan Cruijff

Johan Cruijff

© JOHAN CRUIJFF – FOTO WIKIMEDIA

Se guardiamo al calcio moderno ne viene fuori un dipinto confuso. Un Picasso, fatto di barbarie e classicismo, di segni rapaci, come la vecchiaia e la morte. Un presente che si allontana dal suo orizzonte e con rapidità sorprende. È cosi che il Barcellona dei miracoli, una delle più belle rappresentazioni del nostro tempo, si scioglie come un gelato al sole. Koeman, uomo del Nord, lo vede sgretolare a pezzi tra le sue mani.

Le mani che sorreggono i bluagrana che potrebbero diventare quelle di Pirlo. Andrea, un grande centrocampista, ma uomo qualunque in panchina. Una panchina che è stata per anni il regno di Guardiola, il quale ha sul viso i segni del suo protagonismo e delle sue ansie. Preoccupazioni che hanno radici in un modo di vedere il calcio, che era quello di Johan Cruijff. Il Dio olandese che ci ha lasciato nel 2016, ma che oggi vorremmo intervistare per trattare insieme questi argomenti.

Non avendone la possibilità, abbiamo immaginato, comunque, di farlo, estrapolando i suoi pensieri dall’eredità ingombrante ed eterna che ci rimane di lui.

Johan Cruijff, buongiorno. Partiamo dal caos che ha travolto il Barcellona. Si aspettava che un ciclo cosi vincente e iconico potesse cadere in frantumi in maniera tanto fragorosa?

“Una delle principali leggi del calcio è che il successo è spesso seguito da una grande delusione. Ognuno di noi ha 100, poi vince e ha 90, poi lo fa ancora, 80, e cosi via. Il Barcellona ha vinto tanto per troppo tempo con gli stessi uomini. Uomini che oggi non ci sono più, e quelli che sono rimasti non si divertono più. Senza divertimento non puoi vincere, era inevitabile che succedesse questo.”

Come puoi divertirti con quella pressione? Con quell’aria che si respira al Camp Nou. La pressione si deve esercitare sul pallone non sui giocatori.”

Per riaccendere la scintilla si pensava bastasse Ronald Koeman. Olandese come lei, blaugrana da sempre come lei. Ma questo feeling non frena le difficoltà.

“Quando allenavo il Barça, ricordo che con Ronald e con Stoichkov giocavamo a non mettere dentro la palla, a colpire la traversa o uno dei pali, proprio per aumentare la precisione del tiro. Lavoravamo sulla tecnica e farlo ci divertiva. Ronald, come me e come tanti olandesi, è cresciuto per strada, ha giocato per strada, ed è lì che capisci che quelli che più si divertano a insegnarti qualcosa sono coloro che meglio dominano il pallone, mentre quelli capaci solo di entrare sull’avversario, di piazzarsi in campo per fare ostruzione e di tirare pedate, non hanno nulla da insegnare, anche se avrebbero molto da imparare.
Alla radice del feeling tra i blaugrana e gli olandesi ci sono due principi: il dominio del gioco e il divertimento. Questa tradizione potrebbe darci ancora gioia. Ma i problemi del Barcellona hanno una radice più profonda, che appesantisce.”

L’addio di Messi, ad esempio, ha complicato i piani…

“Io guardo Messi e mi fa sorridere. Un bellissimo calciatore che è ancora come un bambino. Una superstar mondiale, ma pur sempre un ragazzino. Innocente, sai. Lui vuole giocare e basta. Ma negli ultimi anni ha dovuto preoccuparsi di tutto quello che succedeva nello spogliatoio e in società, lo hanno fatto sporcare e intristire. La situazione finanziaria disastrosa non ha aiutato e Leo a Parigi ha trovato chi gli ha detto: Noi ti isoliamo. Ti portiamo al campo e seduti ti guardiamo giocare come fa una mamma coi figli. È l’unica cosa che davvero importa a Leo: giocare.”

E giocare al PSG insieme a Neymar e Mpabbè potrebbe riportarlo sul tetto del mondo. Il PSG sembra imbattibile…

“Perché dite che non si può battere una squadra ricca? Io non ho mai visto una borsa piena di soldi fare gol.

Nel calcio non è il povero contro il ricco. Non è il buono contro il cattivo. Il senso del calcio è che vinca il migliore in campo, indipendentemente dalla storia, dal prestigio e dal budget. Sono ricchi bene, vediamo se sono i migliori.”

Passiamo ad un altro suo discepolo che insegue la Champions senza raggiungerla mai. Cosa succede a Guardiola? Ha vinto troppo anche lui?

“No, qui il problema è un altro, ed è un problema che riguarda il calcio inglese. In Premier League i soldi non sono mai stati un problema, se pensiamo al City poi questa verità è ancora più palese. Ma il fatto è che quando hai troppi soldi, ad un certo punto non sai più come controllarli. Pep vuole raggiungere la perfezione, sia ideale che nell’undici che mette in campo, ed, avendo le possibilità, ogni anno compra ciò che crede mancargli. Non riesce più a concentrarsi su ciò che ha, ma su ciò che non ha, anche a livello tattico. Il calcio per lui è diventato una preoccupazione, e non dovrebbe esserlo, dovrebbe essere eccitante. Quando un bambino gioca a calcio all’aperto, non deve preoccuparsi. I professionisti dovrebbero fare lo stesso.”

Quindi dovrebbe lasciare il City?

No, soltanto chiudere il portafoglio e ritornare a pensare semplice. Perché, due anni fa, contro il Lione si è messo a tre dietro e con due attaccanti? Perché in finale col Chelsea ha cambiato il suo credo? Il miglior modulo è il 4-3-3, che è il suo modulo, con o senza attaccante di ruolo. Se avesse pensato solo a quello, se avesse pensato semplice sarebbe sceso con quello in campo e avrebbe vinto, invece ha pensato complicato ed ha perso.”

Un giocatore che lei amava in campo – Andrea Pirlo – potrebbe sedere sulla panchina del Barcellona. Sarebbe la scelta giusta?

“Andrea in campo era fantastico. Aveva una visione di gioco superiore, con un colpo metteva la palla dove voleva. E credo che poi questa caratteristica lo renderà un ottimo allenatore. Lui non giocava a calcio con i piedi. Lui giocava a calcio con la testa, questo fa la differenza sia che sei in campo che se sei in panchina. Poi è sempre stato un uomo di possesso, quindi sa che con il possesso palla si vince e senza non lo si fa. Imparerà a trasmettere le sue idee alle squadre che allenerà. Insegnerà a dominare. La palla è una sola, quindi è necessario che tu ce l’abbia. Ma non so se basti un cambio di tecnico al Barcellona.”

Mi dice possesso, io le dico Sarri, che in Italia ha riportato in auge l’ideologia, quella dei giochisti. Le piace?

“Sarri ha una buona visione del calcio, ma non è quella di Johan Cruijff, o almeno non è quella che mi piace, non è quella di Pep. Vuole arrivare ai risultati attraverso il bel gioco ma ha un modo militaristico di lavorare con le sue tattiche, non a caso lo chiamano comandante. Io credo che i giocatori debbano pensare da soli. Poi, la sua Juve, ad esempio, ha avuto un limite troppo importante. Se hai il possesso della palla devi allargare il campo più possibile, se non ce l’hai devi restringerlo, mentre i bianconeri con il possesso giocavano stretti e senza erano larghi. È uomo con troppi controsensi.

Sul campo è importante dare libertà ai giocatori, anche se all’interno di uno schema. La distanza massima che un giocatore deve percorrere dev’essere di dieci metri. La libertà è ammissibile, solo se si produce il massimo rendimento dei giocatori di talento. Quello che conviene insegnare ai ragazzi è il divertimento, il tocco di palla, la creatività, l’invenzione. La creatività non fa a pugni con la disciplina.

In generale che idea ha del calcio italiano?

“A me del calcio italiano colpisce, anche prima del virus, che gli spalti erano vuoti. La gente non si diverte più col vostro calcio. Sono troppe 20 squadre, nate tutte per vincere qualcosa e alla fine vince solo la Juve o l’Inter e le altre restano deluse. È tutto sbagliato. Il modello è un altro, il modello è quello in cui ci si diverte e si pensa solo a quello.”

“In Italia nessuno ha mai chiesto lo spettacolo, e quindi non c’è. Contano solo i risultati. Ma a livello di spettacolo siete indietro e questo si riflette sull’immediato. I bianconeri erano la squadra numero uno per organizzazione, ma le loro vittorie erano boriose e non si sono mai imposti in Europa. Dicono ma la qualità senza risultato non porta punti, io dico il risultato senza qualità è noioso.

“Ora c’è l’Inter che lavora sodo, anche se per i miei gusti corrono troppo e quando corri troppo vuol dire che devi riparare. Mi piaceva il Sassuolo di De Zerbi, ora il Napoli di Spalletti.

L’ultima domanda prima di lasciarci. Qual è il giocatore che più si avvicina a Johan Cruijff?

“Qualsiasi giocatore che vi sembra abbia una buona tecnica lo accostate a me. É il nuovo Johan Cruijff. Ma la tecnica non è essere in grado di destreggiarsi con una palla 1.000 volte. Chiunque può farlo praticando. Allora puoi lavorare nel circo. La tecnica è passare la palla con un tocco, con la giusta velocità, al piede destro del tuo compagno di squadra. Basandomi su questo dico De Bruyne.

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