Mondonico, un mister fuori dagli schemi

Mondonico, nell'immaginario di chi ha seguito il calcio sanguigno di una volta, è stato l'allenatore anti-divo per eccellenza.

Articolo di Davide Morgera03/12/2021

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©️ FOTO ARCHIVIO PERSONALE DAVIDE MORGERA

C’era una volta un’Atalanta che divertiva molto, un po’ come sta accadendo in questi anni con Gasperini che, fresco di prolungamento di contratto, ha dato un’identità ad una squadra che ormai possiamo considerare una ex provinciale. Una promozione in serie A, una semifinale di Coppa delle Coppe, una semifinale di Coppa Italia, un sesto ed un settimo posto tra il 1987 ed il 1990, ed una nuova promozione nella massima serie qualche anno più tardi, arrivarono tutte sotto la guida tecnica di Emiliano Mondonico, scomparso tre anni fa dopo una lunga malattia.

Oggi vedere l’Atalanta stabilmente al vertice della classifica di Serie A appare quasi la normalità ma quando, negli anni ’80, il tecnico col baffo la portò in Coppa UEFA sembrò un mezzo miracolo. In quel periodo “scalzare” dal trono o dare “fastidio” a compagini come la Juventus, le milanesi o il Napoli di Maradona non era cosa di poco conto. Ebbene, lui ci riuscì e creò una squadra che faceva un gran calcio, concreto e solido, giocatori che si trovavano a memoria e che si aiutavano l’un l’altro, lo stadio diventò una fortezza inespugnabile.

Quando l’Atalanta lo chiamò al suo capezzale, Mondonico, che coi bergamaschi ci aveva anche giocato, aveva già fatto bene a Cremona e Como. Andare ad allenare a Bergamo sembrò, comunque, un passo in avanti nella sua giovane carriera ed i risultati arrivarono subito. Calciatori come Piotti, Contratto, Progna, Bonacina, Fortunato, Nicolini, Prytz, Madonna, Prandelli, Stromberg, Evair gli ubbidivano come dei soldatini ed iniziò il breve ciclo dell’Atalanta dei miracoli che arrivò sul palcoscenico europeo e mancò la finale di Coppa delle Coppe per una sfortunata gara coi belgi del Malines.

Mondonico giocatore dell’Atalanta

Mondonico, nell’immaginario di chi ha seguito il calcio sanguigno di una volta, è stato l’allenatore anti-divo per eccellenza. Vivido è il ricordo di quel baffo furbo davanti ai nostri occhi e quel modo di parlare che sembrava venir fuori da una perenne nebbia padana, da un pasto caldo, un bicchiere di vino e l’odore acre di un camino. E una partita a briscola. Non a caso i suoi genitori gestivano una trattoria proprio sulle rive del fiume Adda tra bruma e nebbia, umidità e foschia. E lì, nell’oratorio vicino casa, il bambino Emiliano iniziò a tirare i primi calci ad un pallone. Un luogo magico, un punto di arrivo fermo nei futuri calciatori degli anni cinquanta e sessanta dove ai ragazzi veniva finalmente fornito un rettangolo (non sempre verde, anzi…) per dare sfogo ai propri istinti. Qui lo nota un osservatore della Cremonese e gli fa firmare il primo contratto della carriera a 19 anni. Nella città del torrone, in due stagioni, Emiliano mette a segno 19 reti nonostante non giochi da punta pura e proprio durante la sua permanenza in grigio rosso è legata una storia che oggi sembra fantascienza calcistica.

È l’aprile del 1967, a Milano si esibiscono i Rolling Stones, Mick Jagger e Brian Jones stanno facendo ammattire milioni di giovani come i Beatles con le loro chitarre e i ritmi indiavolati dei primi album. Tra questi giovani c’è anche lui, Emiliano Mondonico, venti anni, giocatore più che promettente della Cremonese. Allora il futuro baffo che fa? La domenica precedente il concerto degli Stones si fa espellere per poter essere libero, per potersi trovare tra le migliaia di giovani che avrebbero affollato il Palalido di Milano la settimana successiva. Accade che per tutta la gara riempie di parolacce l’arbitro fino a quando, a fine partita, il direttore di gara lo scopre. E lo fa squalificare. È quello che lui voleva, è quello che i capelloni come lui, con i poster delle riviste alla moda in camera, volevano. Bandite le sfumature alte, la rivoluzione partì da lì, dai capelli. Era come andare contro i genitori, la società tutta, l’essere bigotti, la noia ed il perbenismo. “Da Sanremo, Tony Dallara, Orietta Berti e Celentano mi trovai di fronte ai Rolling Stones e Jagger. Era uno spettacolo sconvolgente, diverso, che ti prendeva, disse così qualche anno più tardi il “Mondo” quando confessò il motivo della sua squalifica.

Mondonico con Boskov della Sampdoria

Lui era così, prendere o lasciare. Gli piaceva svariare, dribblare, andare in fondo e crossare, inventare giocate. Insomma il suo modello è Gigi Meroni, un funambolo ed un giocoliere, un genio di quegli anni. Quando il Toro perde la “farfalla granata” per il tragico incidente, la società cerca un giocatore che sia in grado di sostituirlo, non nei cuori dei tifosi, per i quali Meroni era un idolo da venerare, ma almeno in campo. Fu così che Mondonico, dal grigio rosso della Cremonese passa al granata del Torino. Sotto la Mole, però, il suo rendimento è piuttosto alterno, non gioca sempre e in due anni colleziona solo 14 presenze con due reti.

Al Monza, invece, in Serie B fa molto bene realizzando 7 reti in 23 presenze e giocando molto più vicino alla porta. Il giocatore c’è, ha la stoffa per tornare nella massima serie, là dove lo aveva lanciato il Torino. È a quel punto che il giovane e rampante mister Corsini, nell’estate del 1971, lo chiede espressamente al presidente dell’Atalanta Bortolotti. Va bene, l’affare va in porto nonostante, nelle gerarchie, davanti a lui ci siano già Doldi e Leonardi. Mondonico, però, ha solo 24 anni, ha bisogno di giocare, di sentire la fiducia dell’allenatore, della società e dei tifosi. Questa pozione magica non verrà, sfortunatamente per lui, fuori dal calderone e il “Mondo” resta ai margini della squadra. A fine torneo il suo curriculum dice solo due presenze e nessun gol. Del resto la Bergamasca arriverà undicesima e conquisterà la salvezza con tre giornate di anticipo mostrando un mix compatto e granitico tra giovani ed esperti.

Allora dove poteva rigenerarsi e trovare finalmente la vena giusta il nostro Emiliano? Ma a casa, naturalmente. A Cremona, tra B e C, esplode e lascia il segno con 180 presenze e 70 gol per un matrimonio che dura sette anni senza accusare nessun cedimento. Negli ultimi anni alla Cremonese è già un allenatore in campo, ha capito che il suo futuro è quello di trovare una panchina. Tre anni coi ragazzini e poi la prima squadra. Prende possesso della “cattedra” a 35 anni, nel 1982, e porta subito i grigio rossi in Serie A dopo più di mezzo secolo di assenza. Da lì in poi il suo nome diventa tra i più gettonati ed approda all’Atalanta dove gestisce benissimo squadra e spogliatoio.

Il Mattino dopo il 6 a 2 del Napoli di Mondonico alla Reggina, dicembre 2000

A Bergamo diventa un’icona, un leader incontrastato e fa funzionare tutto a meraviglia. Il passo successivo è al Torino dove continua a mostrare meraviglia coniugando calcio all’italiana e calcio offensivo e nel 2000 lo chiama anche il Napoli a sostituire Zeman dopo sei partite. E il suo ingaggio diventa la barzelletta d’Italia. Sia Corbelli che Ferlaino, infatti, dichiarano che l’allenatore non l’hanno scelto loro e cronisti segugi arrivano alla conclusione che il baffo di Rivolta d’Adda lo ha mandato Moggi tramite i buoni uffici di Gigino Pavarese che, pare, l’avesse appellato qualche tempo prima come uno degli allenatori più scarsi al mondo. Il suo mandato al Napoli funziona raramente, il suo 3-5-2 ancora meno. Ovviamente Mondonico boccia il 4-3-3 zemaniano e si arrocca su posizioni più accorte, affida le chiavi del centrocampo ad un bergamasco DOC come Oscar Magoni e cerca di sollevare il morale ai sei nazionali del Napoli (Vidigal, Saber, Sesa, Matuzalem, Jankulowski e Husain), riuscendovi solo raramente. A lui va bene anche il punto fuori casa.

Baldini, perno difensivo del Napoli di Mondonico

Ciò che lo tradirà, purtroppo, sarà ancora un punto. È quello che il Napoli perde in casa col Brescia (pareggio di Baggio al 92′ su punizione) e sarà quello che serviva agli azzurri per salvarsi a fine campionato. La classifica condanna gli azzurri al ritorno in B dopo appena un anno e Mondonico torna in Lombardia a trascorrere intere giornate in campagna con i suoi stivaloni ed i pantaloni di velluto. Fu qui, in un’intervista, che ricordò l’episodio dei Rolling Stones e confessò che Brian Jones degli Stones era seduto su una sedia di legno. Una simile Mondonico la prese per alzarla in segno di protesta ad Amsterdam nel 1992 quando il Torino fu sconfitto dall’Ajax in Coppa UEFA. Proteste e rivolte, Mondonico ritornò di tanti anni indietro. A quando tormentò un arbitro per andare a vedere i Rolling Stones.

 

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