Un’estate italiana

L'estate italiana fatta di ori e allori rendono lo sport una materia troppo seria per la politica, che avrebbe molto da imparare.

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Articolo di Fabio Monti08/09/2021

La bella estate dello sport italiano, fra Europeo di calcio vinto dopo un’attesa durata 53 anni, le 40 medaglie conquistate all’Olimpiade (dieci d’oro, dieci d’argento e venti di bronzo) e le imprese alla Paralimpiade hanno offerto al mondo l’immagine di un modello non perfetto, semmai perfettibile, però funzionante, agile, snello, capace di produrre risultati concreti, prestigiosi, da ricordare e tramandare ai posteri. Viene in mente il titolo apparso sull’Équipe addirittura nel 1982, con l’Italia campione del mondo nel calcio, Giuseppe Saronni iridato nel ciclismo, Alberto Cova campione d’Europa sui 10.000: «Ils gagnent tout ces italiens».

L’oro e gli allori di luglio e agosto sono stati in qualche modo anche una risposta al mondo politico che, da tempo e prima che Mario Draghi affidasse la delega dello Sport a Valentina Vezzali, aveva cercato di dare l’assalto all’organizzazione sportiva. Non una novità, semmai un film già visto, se è vero che l’avvocato Giulio Onesti nel giugno 1944 aveva ricevuto l’incarico di procedere alla liquidazione del Coni. Una decisione presa per cancellare un ente cresciuto sotto il regime fascista.

Onesti lavorò moltissimo per disobbedire alla direttiva firmata nientemeno che da Pietro Nenni, mettendo in atto una serie di iniziative utili a creare le condizioni per una ripresa dell’attività sportiva, proprio sotto l’egida di un Coni rinnovato. Operazione perfettamente riuscita già il 27 luglio 1946 a Milano, con l’elezione dello stesso Onesti a presidente (sarebbe rimasto in carica fino al luglio 1978) e proseguita nel tempo, con il successo avuto dal modello sportivo italiano, capace di autofinanziarsi e di finanziare lo Stato, attraverso il Totocalcio. Onesti ha sempre diffidato dei tentativi dei politici italiani di avvicinarsi al mondo dello sport. E quando notava un improvviso interesse per tutto quanto girava intorno al movimento, nelle poche interviste che era solito concedere, amava ripetere: «Stanno arrivando gli sfasciacarrozze». Un modo per definire senza giri di parole quanti proponevano lo stravolgimento dell’assetto dello sport italiano e la sostanziale negazione della sua autonomia. Che non è il massimo, ma ha dimostrato negli anni di funzionare, al di là delle difficoltà e degli imprevisti.

In realtà lo sport, parola che non è mai stata inserita nella Costituzione italiana, giusto per sottolineare la sensibilità del Palazzo, è materia troppo seria per il mondo politico italiano, perché nel momento di preparare le gare contano i fatti e non le parole, incide quanto si è lavorato e non quanto si è discusso, pesa l’allenamento e non la teoria del rinvio (faremo, diremo, vedremo). Non ci sono vertici da programmare, c’è da correre, nuotare, vogare, pedalare tutti i giorni, anche nelle feste comandate. Visto quanto ha combinato l’Italia in questa calda estate, forse sarebbe ora che il mondo politico cominciasse a guardare a quello dello sport con lo spirito di chi ha molto da imparare e poco da spiegare. Più che dare lezioni, sarebbe il caso di iniziare a prenderle. Un giorno, dopo l’oro olimpico di Mosca, chiesero a Pietro Mennea che cosa pensasse della lentezza. C’era tutto nella risposta, rapida come i suoi sprint: «Credo che se in Italia ci si muovesse con maggiore velocità, le cose andrebbero molto meglio». Appunto.