Ancelotti, storia di un amore mai nato: e se fosse arrivato Ibra?
Un anno fa il Napoli esonerava Ancelotti. Poco da dire, un amore mai nato. Ma se fosse arrivato Ibrahimović?
“Ma si, che problema c’è, la squadra è forte, sono tranquillo“, disse Carlo Ancelotti a Fabio Caressa in riva al mare. Nel calcio, purtroppo, o forse per fortuna, non è necessaria una squadra forte od un allenatore d’esperienza per vincere. Spesso, neanche questo connubio s’è rivelato trionfale. Aggiungiamoci piazze calde, come quella di Napoli, ed allora è ben altro che si deve creare per dar vita ad una grande espressione calcistica.
Oggi, due anni fa, Carlo “Tortello” (come lo chiamavano a Roma) Ancelotti venne dimesso dal suo incarico sulla panchina del Napoli.
Una mancanza di chimica
Storia – se così può essere denominata quella manciata di mesi – tra due compagini che potevano dimostrare ben altro. Una squadra in cerca del trampolino per lanciarsi in Europa, buttatasi, però, in una piscina vuota: facendosi male. Un allenatore che da dimostrare aveva ben poco; l’esperienza di Napoli non ha né migliorato né peggiorato quella che è la sua gloriosa carriera. Anche perché, tra l’altro, forse quella squadra è stata più allenata dal figlio Davide, che da Carlo in persona. Se i tifosi del Napoli sono divisi tra Cavani e Higuain, pro o contro Sarri, pro o contro Benìtez, l’esperienza Ancelotti lancia un’altra pietra: il calcio di Ancelotti è finito o no?
Sicuramente il calcio ha subito un’evoluzione, entrata più di tutti nei dogmi degli allenatori emergenti tedeschi, ma di certo di cambi radicali non si può dire ce ne siano stati. È difficile parlare di calcio finito, è anche poco remunerativo. Molto meglio pensare che tra allenatore e squadra – e città – non si sia creata la chimica adatta, anzi, non si sia creata affatto. Col venir meno del collante tra la tattica e la tecnica, il lavoro è davvero difficile da portare a termine. E, diciamocela tutta, a Madrid, uno dei suoi ambienti preferiti, è primo con più di otto punti di distacco dalla seconda. Per favore, che non si cada nel retorico “Si ma a Madrid, con quella squadra, è tutto semplice“.
L’arrivo (im)possibile
“Si ‘o nonno teneva ‘o troll facev’ ‘o tram” si dice a Napoli. Ma d’altronde il tifoso va anche lasciato libero di sognare: e se fosse arrivato davvero Zlatan Ibrahimović?
Campioni del genere, di questo status, di questa rilevanza (anche mediatica), sono il catalizzatore per una società di calcio. Non citiamo la rilevanza in campo.. non c’è ne bisogno. L’unico calciatore che per un periodo è stato la risposta alla domanda “Messi o Ronaldo?”, perché lui ha davvero qualcosa di diverso, che lo rende unico. Con Ancelotti in panchina, con il vichingo in campo, staremmo parlando di tutto, tranne che di una mancata qualificazione in Champions all’ultima giornata di campionato. Ciò non si pone in antitesi con la teoria spiegata precedentemente, poiché l’ingaggio di elementi di questo calibro possono solo giovare ad un gruppo, ad una città, ad un allenatore. A proposito di città: uno dei pilastri del calcio mondiale, a Napoli, se non avesse avuto il riconoscimento “Maradoniano”, sarebbe andato comunque lì vicino. Dato che, dopo el diez, mai è arrivata all’ombra del Vesuvio una stella (e che stella) già affermata.
È anche questa la potenza degli allenatori del calibro di Ancelotti o Benìtez. Sono in grado di convincere, magari proprio per la loro presenza, i più grandi campioni a giocare per loro. Così è stato per lo spagnolo, meno per “tortello”, nonostante con lui si sia rischiato il colpo da 90, che comunque ha avuto l’occhio giusto per ingaggiare Fabián Ruiz e Zielinski, oggi colonne portanti della squadra.