Grazie Vale, 26 anni di mito e spettacolo
Oggi termina un'epoca nel motociclismo. Noi ci uniamo all'affetto dei milioni di tifosi sparsi in giro per tutto il mondo e in coro diciamo forte: grazie Vale.
Grazie Vale. Grazie per i 26 anni insieme. Grazie per le tue esultanze e le tue esuberanze. Grazie per i tuoi capelli lunghi, rasati, ossigenati, verdi, rossi e riccioli. Grazie per il popolo giallo, che ti ha seguito in ogni angolo del globo con passione, amore e devozione pagana. Grazie per i tuoi spot della birra e i tormentoni. Grazie per il tuo numero 46, destinato a entrare nel gotha dei numeri sacri insieme al 23 e al 10. Grazie per il tuo accento romagnolo e il tuo inglese maccheronico. Grazie per i tuoi caschi celebrativi. Grazie alla luna e al sole. Grazie alla Polleria Osvaldo. Grazie per aver avuto il coraggio di dire quello che ogni uomo, dal più nobile al più umile, pensa e scriverlo sulla tua zip della tuta: WLF.
Grazie per i bagni di folla. Grazie per il dito medio in sorpasso a Biaggi (senza alcun rancore Max) dopo la spinta del romano col gomito sul rettilineo del Mugello nel 2001. Grazie per le rimonte impossibili. Grazie per aver ispirato in Guido Meda l’ormai leggendario “Rossi c’è!“. Grazie per il Montmelò e quell’ultima curva che noi comuni mortali non potevamo neanche sognare nei nostri sogni più esaltanti. Grazie per il cavatappi, e per aver stappato lo champagne per tutti coloro che seguiranno le tue orme lì. Grazie per aver saputo domare ogni classe di moto, dalla 125 2T, attraverso i cavalli impazziti delle 500 cc 2T per arrivare alle moto computerizzate nell’anima. Grazie per la tua prima vittoria in Yamaha e le lacrime versate in solitudine accanto al tuo destriero meccanico blu. Grazie, grazie e ancora grazie. Potremmo continuare per ore e ore, eppure ometteremmo inconsapevolmente altri dovuti e sentiti ringraziamenti.
Parlare della giornata di ieri e tentare di dipingere un quadro di cosa abbia lasciato Valentino Rossi in eredità, equivarrebbe a impegnarsi a descrivere l’ultima pennellata di Michelangelo al suo Giudizio Universale. La sensazione, a opera conclusa, di assistere a un capolavoro eterno, assoluto e impareggiabile. Ciononostante, orgoglio ed estasi vengono avvolte delicatamente in quel velo di tristezza che accompagna la fine di ogni impresa. E più alta è la vetta raggiunta, più pesante e più esteso si spande il velo.
È innegabile come tutto il mondo che vortica attorno alle due ruote sia stato irrimediabilmente sconvolto dalla personalità e dal talento di Valentino. Così come quest’ultimo. Nato, cresciuto e poi plasmato tra i paddock e l’odore forte di benzina e degli scarichi al seguito di papà Graziano. Un angioletto con la fionda nella tasca posteriore, un casinista. Perché, infondo, questo è quello che è, ed è sempre stato.
Tavullia oggi è sulle cartine grazie al numero 46, meta di pellegrinaggi e punto di ritrovo per motociclisti. Trent’anni fa era solo un piccolo paese di poche migliaia di anime a una quarantina di chilometri dall’Adriatico. Quando era ragazzino Vale veniva additato come il ragazzino pazzo, in una “banda” di altri scapestrati, con l’ape stramodificato che sfrecciava per le strette strade di Tavullia. Altri dicevano di vedere convogli di scooter, sempre rigorosamente elaborati fino al midollo, volare lungo la “Panoramica”, celebre tratto di strada tutto curve che si snoda tra Gabicce e Pesaro. Come se ciò non bastasse, papà Graziano lo aveva già messo in sella a una minimoto sin dai primi anni. Quindi la domanda si fa lapalissiana: Cosa vi aspettavate che ne venisse fuori?
Il cuore di Vale batte a un ritmo differente. Così come Coppi e la sua brachicardia rappresentarono nel ciclismo il binomio assoluto, Rossi e la sua iperattività, il suo vivere secondo i giri del motore lo hanno trasformato nella sintesi del pilota perfetto nelle moto. E si badi bene, non parliamo di stile di guida o “tecnica”, ma dell’essenza profonda del motociclista. Quelle stigmate che ti guadagni con l’amore dei tifosi. Piloti meno vincenti di altri nel motociclismo vengo ricordati con più affetto e stima dal loro pubblico proprio per la capacità di incarnare lo spirito del “rider”, distante anni luce dall’automobilista. D’altronde si sa, chi ha una moto fa parte di una sorta di società chiusa: il saluto con le due dita per strada tra motociclisti ne è la prova. E se a questa indole forgiata a ottani si somma un talento e una sensibilità spropositate, combinate con quel pizzico di follia che ti spinge al 101%, otteniamo la “Creatura” di Frankestein. Pardon Rossinstein.
Parlare delle sue vittorie, dei suoi numeri, delle sue imprese, oggi appare del tutto riduttivo. Anche la numerologia sembra averlo innalzato nella trascendenza sportiva. Questi saranno i soli numeri che citeremo: 14/11/21 (14+11+21=46), ultimo gran premio a Valencia, chi ha orecchie per intendere, intenda, conclude decimo (9 mondiali + 1 “ad honorem”). A 42 anni ha detto basta, non ce la faccio più. La testa vorrebbe, ma il fisico e i riflessi non hanno pietà e brindano con il tempo alla loro “decadenza”.
Ma Vale non è tipo da rimanere a guardare mentre si bisboccia e si ride di lui. Per questo non si arrende. Per questo è un pilota vero. Per questo è una leggenda. E, proprio per questo, già dal prossimo anno lo vedremo al volante di un’auto sportiva, non si sa ancora molto sui dettagli, ma dovrebbe trattarsi di una gran turismo. Con un piccolo sforzo d’immaginazione già possiamo vederlo a bordo del suo mezzo, tutto di giallo acceso dipinto, con lo stesso sguardo concentrato che lo ha accompagnato per 26 anni al via. E che mai lo abbandonerà.
Le celebrazioni e le manifestazioni d’affetto, la Piazza Valentino Rossi all’interno del circuito Ricardo Tormo di Valencia, i murales e le dediche dei “nemici” spagnoli, sono solo la punta di un iceberg di himalaiana dimensione. Io, da appassionato di motociclismo, da tifoso della prima ora, da estimatore e indossatore del suo stesso orecchino per 20 anni, per aver scandito le mie stagioni e i miei anni, ma soprattutto, per avermi fatto vivere momenti di estasi in piedi sul divano, ti ringrazio Vale. E come diresti tu: “Ho goduto come un riccio!”.