Tango al Maradona, il Napoli sedotto da Lo Celso

Napoli è la piazza perfetta per strappare Lo Celso dalla tristezza d'Oltremanica, e riportalo a danzare in campo al ritmo di tango.

Lo Celso Napoli
Articolo di carloiacono16/07/2023

L’ultima voce di radio mercato arriva da Londra ma habla un español dall’accento sudamericano, rosarino. Il Napoli è stato sedotto da Giovani Lo Celso e ha chiesto informazioni al Tottenham per ottenerne il suo cartellino. Gli inglesi del ventisettenne argentino se ne vogliono liberare, perché El Monito, “la scimmietta”, Oltremanica soffre.

Giovani ha sbagliato ad accettare Londra, hanno sbagliato a metterlo sotto contratto, e in quel grigiume viene fuori il peggio di sé, il meglio è capace di esprimerlo solo quando se ne allontana. 

L’intenzione degli Spurs è allontanarlo per sempre e dimenticarsene. Dimenticarsi dei 50 milioni spesi nel 2019 per quello che avrebbe dovuto essere l’erede di Eriksen e Dele Alli, quando questi avrebbero migrato altrove. Avrebbe dovuto, perché poi Giovani Lo Celso a Mauricio Pochettino e a suoi successori non è mai piaciuto molto, essendo troppo distante “concettualmente” dal calcio intenso e atletico della Premier.

Giovani Lo Celso è un romantico pensatore dallo spiccato senso artistico, che non disdegna la guerra ma la pratica solo per riprendersi ciò che ritiene un diritto naturale: la supremazia del possesso. 

In tre stagioni in Premier ha accumulato 84 presenze, siglato 8 reti e messo a referto 6 assist, numeri decisamente lontani dal suo talento – messo in vetrina nella maniera più luminosa a Parigi prima, poi al Betis e successivamente al Villareal – e che soli spiegano il suo misero valore di mercato: 14 milioni, che il Tottenham vuole cash o tramite prestito con obbligo di riscatto e il Napoli segnerebbe su carta solo tramite diritto. 

C’è da lavorare sulla formula, ma il Napoli ha tutto il diritto di essersi innamorato del Monito. Perché Giovani Lo Celso per dati anagrafici e “parabola” non è un giocatore da Napoli – o almeno del Napoli degli anni passati – ma è da Napoli per la sua essenza. È un giocatore d’essenza e – gioco di parole permettendo – essenzialmente rappresenterebbe un upgrade in quella zona di campo occupata sinora da Zielinski. 

Giovani è nato, poi cresciuto, nel barrio Sarmiento, poco lontano dal Gigante de Arroyito, nel 1996. Ha una sola squadre del cuore, il Central, che in più interviste ha definito un linda enfermedad, una “bella malattia”. Ha mosso i suoi primi passi per strada poi nel futsal avendo come unico punto di riferimento un solo idolo: El Fideo, Di Maria – nato a cinque chilometri di distanza da Lo Celso, nel barrio Cerámica y Cuyo.

Arriva in prima squadra tra il 2014 e il 2015, quasi maggiorenne, ci resterà fino al 2017 quando a Parigi gli sceicchi per averlo staccano un assegno da 40 milioni di euro: è amour. Giovani all’epoca è un esterno offensivo, al Rosario nasce nel solco di Di Maria e Franco Cervi, ma in campo ci sta in maniera diversa. Ha spirito di enganche, difendere non gli pesa, e viene tanto al centro, è un mezzala, un dieci con la cazzimma.

All’ombra della Tour Eiffel, i primi tempi sono difficili. El Monito c’ha davanti Verratti e Rabiot. Il suo primo anno si conclude con soli 107 minuti sul prato verde. L’anno successivo, complice l’infortunio di Thiago Motta, Unai Emery lo posiziona titolare in un centrocampo a tre insieme proprio a Verratti e Rabiot. In questo assetto Lo Celso tira fuori un’abilita nel mantenere il possesso non comune, sa liberarsi della pressione avversaria semplicemente muovendo il corpo e non il pallone. Sa verticalizzare, fa girare la squadra. Da dieci si scopre un cinco.

A Parigi ci resta tre stagioni, fino a quando Tuchel decide che non ha bisogno di lui. Si accasa al Betis e letteralmente esplode nelle trame di Quique Setién. È il 2018/2019, indossa 45 volte la maglia dei los verdiblancos e partecipa a 22 gol (16 reti, 6 assist). Sembrava un passo indietro per Giovani, dalla Spagna, invece, rimbomba forte quel nome che porta dietro le spalle Lo Celso.

Nel 4-3-3 Setién, fatto di gioco di posizione, c’è bisogno di concretezza, associazione, e creatività. Il Monito ha tutti e tre gli ingredienti. Il suo tocco nello stretto è poetico, ma allo stesso tempo veloce grazie al baricentro basso. La sua visione notturna. Ha più diottrie del normale, vede quello che gli altri non vedono e lo colpisce possedendo una sensibilità di calcio sopraffina ed elegante. In campo traccia. 

Il pallone va a prenderselo, non lo aspetta, nonostante sia un giocatore prettamente offensivo e ha un discreto fiuto del gol. Inoltre, ha quella che prima chiamavamo “cazzimma”, che non è altro che la garra rosarina per eccellenza che gli scorre nel sangue. Lo Celso è tecnica e produzione artistica, estasi y dolor. Lo Celso è tango. 

In un articolo di fondo dedicatogli, qualche tempo fa, da Ecos del Balón, ne mettono in risalto la componente erotica del suo calcio: quello che Giovani Celso sar far meglio è – nella sfumatura tutta rioplatense del concetto di seduzione – sedurre, in maniera allo stesso tempo sensuale e pericolosa, lo si percepisce quando in sta campo e “fronteggia la sfida cercando il bacio incandescente dell’ultimo passaggio”.

Seduzione che Fabrizio Gabrielli, in un articolo dell’Ultimo Uomo, riconduce per l’appunto al tango “nella semplicità e nell’eleganza del suo codice espressivo. È un tango perché è improvvisazione, genio, estro; ma anche, e non in maniera meno fondamentale, rispetto della tradizione, sentimento, partecipazione”.

L’ultima a cadere nella sua rete è il Napoli che può salvarlo dalla tristezza d’Oltremanica e riportarlo a danzare. In fondo il tango è un pensiero triste che si balla e per farlo non c’è miglior palcoscenico del prato del Maradona.