Non potevano essere Malmö e Villareal, per quanto appuntamenti internazionali, le prime risposte sul calcio italiano.
Lo sarebbero state, dovevano per forza di cosa, esserlo Liverpool e Real Madrid. Dopo l’entusiasmante europeo degli uomini di Mancini, il calciomercato e le prime giornate di A lasciavano la netta sensazione di un impoverimento. Un distacco tra gli azzurri e il sistema che li partorisce, dal mondo delle idee – quello di Mancini – e il mondo sensibile – quello percepito in A, certificato dalla distanza tra le prime della classe e le altre. Difficile stimare il valore assoluto.
Abbiamo cercato, allora, risposte in Inghilterra e di fronte ad una spagnola, dove per anni ci è stato detto di essere inferiori. L’impressione è che il gap non lo abbiamo colmato noi, ma adesso ci sono più vicini nella rovina.
Il Liverpool è una squadra forte, va a mille all’ora. Però, il calcio non è l’atletica e i Reds sono più normali degli anni passati. Intensi ma non travolgenti. Burrasca non uragano. Lo ha capito il Milan in una ventina di minuti. Hanno avuto paura i rossoneri, era la loro prima volta nella storia ad Anfield, per tanti ragazzi l’esordio in Champions. Le gambe non andavano meno forti degli avversari, tremavano rendendo impossibile l’equilibrio. Per questo è arrivato il vantaggio degli inglesi, non per altro.
Poi Maignan – estremo difensore di spessore e, soprattuto, personalità – ha ipnotizzato Salah, è stato un episodio chiave. Il Milan poteva essere subito fuori dalla partita, l’ha realizzato. Ha realizzato i suoi mostri, e quando lo fai o scappi o reagisci con quello che hai tra le mani. I rossoneri hanno una identità forte. Hanno ritrovato il percorso imboccato con Pioli e proseguito, ne è venuto fuori gioco e due reti, consapevolizza e cattiveria agonistica.
Il solo Calabria – uomo ovunque – che seguiva per tutto il campo, come un chewing gum, prima Jota e poi Mané, trasmetteva coraggio.
Alla fine non è bastato, lo sappiamo. Forse solo per abitudine. Gli inglesi hanno fatto il secondo e poi anche il terzo, prendendo campo sul finale. Quel campo da cui, però, il Milan non è mai uscito. Prendono i punti loro, qualche certezza noi. Qualche metro. Quando cerchi risposte può bastarti il silenzio di Anfield. Erano più forti ma non ne sono stati sicuri.
Sicuro, invece, è che all’Inter è mancato solo Lukaku, che verrebbe a dire solo il gol. Il Real è una squadra obsoleta, consumata, la stessa da anni, logora, a cui è stato aggiunto quello che si poteva. Se ad una macchina devi sostituire il motore per farla andare ancora forte non basta mettere nuove sospensioni o freni. Anche Ancelotti lo sa, ed anche Ancelotti sa di vecchio. Non ha gioia nel proporre, conserva, affidandosi allo spirito del tempo. Quello che, alla fine, ha guidato Camavinga e Rodrygo.
Meritavano di vincere i nerazzurri. Hanno dominato per gran parte della partita. Conoscendo le difficoltà storiche nell’affrontare l’Europa, ha stupito la loro leggerezza nel gioco e nella testa, la brillantezza della trama. C’è stato grande equilibrio e grande divertimento, grandi occasioni.
È stato bravo Courtois, lo sono stati un po’ meno Lautaro e Dzeko. In Champions è tutto più veloce, quindi devi esserlo anche tu per stare al passo.
La velocità è stata la chiave. Lo è stata la tecnica in velocità degli spagnoli negli ultimi minuti. Peccato.
Zero punti, in due confronti. Due risposte: le grandi d’Europa non sono poi cosi più grandi di noi, dove regna confusione c’è posto per tutti.
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