È di “sono io il vostro Giuntoli” l’assist per Bellingham
Diciamocelo subito, il Napoli non esce dal Santiago Bernabeu umiliato. Esce a testa alta, scrivono in molti, ma con il corpo impantanato nel passato
©️ “NAPOLI” – FOTO MOSCA
La riflessione
Diciamocelo subito, il Napoli non esce dal Santiago Bernabeu umiliato. Avevamo detto che il primo merito di Mazzarri era stato ridare un’anima agli azzurri, serrare le fila di un gruppo logorato dalla parentesi Garcia. Questo ultimo (merito) non possiamo certo toglierglielo dopo la serata di Madrid.
Il Napoli subisce una severa sconfitta in casa dei Blancos, ma è il frutto di una serie di fattori inaccessibili ad un tecnico subentrato da poco.
Esce a testa alta, scrivono in molti. Si, ma con il corpo impantanato nel passato. In campo la squadra manifesta limiti atletici, alterna momenti di assalto ad altri di remi in barca. Spinge quando può, non lo fa quando dovrebbe. Tatticamente è compatta a tratti, perde facilmente le distanze tra i reparti. Troppe volte la difesa è lasciata in balia degli attaccanti avversari senza alcuna copertura, tante quante il proprio centravanti è lontano praterie dai giocatori che detengono il possesso.
Poi ci sono gli uomini. Meret ha i fucili a pompa del popolo puntati alla tempia. Andato via Garcia, non potendo tirare in ballo Mazzarri accolto come salvatore della patria, né De Laurentiis – il quale da quando è diventato pop e artefice del terzo scudetto gode di un’immunità da senatore, il portiere resta il capro espiatorio designato. Attenzione, nessuno ha l’intento di abbonare la papera del numero uno azzurro sul 3 a 2 dei Blancos, né sminuire il peso che questa ha avuto sul risultato finale ma… il buon Alex si era segnalato in precedenza con 3-4 interventi al limite del prodigioso (vedi parata alla Garella su Bellingham), ed in un certo momento della partita la sua porta aveva le sembianze di un tiro a segno. Non è un numero uno da Napoli? Su questo si può discutere, perché gli errori in una singola stagione cominciano a diventare troppi, è evidente la mancanza di fiducia del ragazzo così come quella del reparto nel proprio estremo difensore, ma è quello stesso reparto a non aiutarlo.
Il reparto, veniamo a quello. Senza Olivera e Mario Rui, Juan Jesus non può durare a lungo su quella fascia. Non è pronto dal punto di vista fisico né mentale ad essere un titolare, è un rincalzo, senza che nessuno ci voglia male. Con il brasiliano alle spalle Kvara è leggibile, con il brasiliano al proprio fianco il centrale di destra ha troppa profondità a sinistra da coprire (vedi il 2 a 1 di Bellingham). Il centrale di destra, ieri era Natan, ha offerto una prova orribile ma non deve distrarre sul potenziale del ragazzo, più far riflettere sulla scelta del “sono io il vostro Giuntoli”. ADL nella veste estiva di DEUS EX MACHINA non ne ha azzeccata una.
Come si può pensare di sostituire Kim con un giovane di belle speranze con esperienza solo nel campionato brasiliano? Devi soffrire della sindrome di Re Mida, che è la stessa che ha portato alla scelta Garcia come successore di Spalletti. L’uomo del 4-3-3 e del bel gioco mai messo in pratica in tutta la carriera.
La partita
Veniamo al match. Il Real Madrid è partito con il freno a mano tirato, atteggiamento svogliato che ha permesso al Napoli per una ventina di minuti di non soffrire il divario tecnico né le proprie lacune. Gli azzurri hanno sfruttato sapientemente quel momento. Sono andati in rete con il Cholito.
Lo svantaggio ha svegliato i campioni, o almeno gli ha disturbato il sonno. Hanno cominciato a divincolarsi, come quando nel letto c’è una zanzara che ti da fastidio. Butti le mani fino a quando non la prendi.
È bastato poco, il tempo di accendere la luce. Palla al centro del campo, l’arbitro fischia la ripresa dopo l’esultanza di Simeone. Brahim Diaz cryptonite per gli azzurri) passa tra le gambe di Lobotka, lascia sul posto Anguissa, si invola, tocca per Rodrygo che si accentra e la mette alle spalle di Meret come se fosse bere un caffè. Semplice. Esecuzione aliena. Uno a uno dopo nemmeno due minuti. Il ritmo si abbassa, poi Bellingham pensa di governarlo (può anche quello). Si lancia alle spalle di Natan per recuperare un cross al bacio perugina di Alaba. 2 a 1 di testa dell’inglese. Il Napoli si spegne, ed è una colpa, non sappiamo da attribuire a chi, perché appena si smuove crea pericoli, il Real non è dentro la partita, sembra fregargliene anche poco. Sul finire di tempo, gli azzurri potrebbero pareggiarla, prima con un tiro di Zielinski e poi con Simeone.
Allo scoccare della ripresa, Osimhen è in campo. A pochi minuti dal suo ingresso, Anguissa da marpione su azione confusa trasforma in rete un destro violento a volo, Lunin non può niente. Gli azzurri assaporano l’impresa, provano a renderla realtà. L’azione che potrebbe cambiare il destino, parte da una palla rubata a Ceballos (che poi sarà chiamato in panca), contropiede tre contro uno, Kvara, solo davanti a Lunin, non tira, appoggia per Osimhen e si fa recuperare.
Il Napoli stacca la spina. Il Real decide di chiuderla, ogni azione d’attacco è un gol potenziale. L’incertezza di Meret sul tiro dalla distanza del giovane Paz porta al 3 a 2 per i padroni di casa. Poi ci sarà il quarto di gol, firmato Joselu, che manderà la partita in archivio. Dove è giusto che resti. Domenica c’è l’Inter e tanto lavoro da fare in settimana.