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Vendrame, calcio più fantasia

Vendrame, calcio più fantasia

E’ novembre, del 1975. Albergo Leonardo da Vinci, a Milano, da qualche anno sede del calciomercato. Qualcuno inonda la hall con una pioggia di volantini. Dicono: “Vendrame calcio più fantasia”, “Acquistate Vendrame, un calcio da poesia”. Lo stesso accade allo stadio di San Siro. Di quel volantinaggio senza precedenti scrive il settimanale di calcio che va per la maggiore, all’epoca. Quello che nel logo ha un cavaliere che lancia una stilografica e che nel nome richiama quello del foglio satirico, il Guerin Meschino, che andava per la maggiore quando nacque, nel 1912. Ma ne scrive anche il quotidiano di rosa pittato.

Il tono degli articoli, più o meno: guardate a cosa deve ridursi un calciatore per trovare un nuovo allettante ingaggio. Già. In quel novembre 1975 Ezio Vendrame, il calciatore ribelle e sregolato per eccellenza, gioca in serie C, nel Padova. Quei volantini che ricordano come il calciatore tutto barba e capelli (lunghi) fosse alfiere di un calcio fatto di poesia (quando non follia) e fantasia (quando non sperpero di talento) dicono il vero, anche. Vendrame è stato (se ne è andato nell’aprile del 2020) calciatore atipico, fuori da ogni schema. Ma quei volantini raccontavano anche di una carriera che prometteva scintille e gloria ed invece… 

Era a Napoli l’anno prima, Vendrame. La grande occasione. Lo aveva voluto Luis Vinicio, come tanti incantato dai tre campionati che l’anarcobeat Ezio aveva disputato nel Lanerossi Vicenza. Ma dalle parti del Vesuvio e del San Paolo accade l’impensabile. Qualcosa (molto) non funziona e in tutto il campionato 1974-75 Vendrame disputa la miseria di tre partite. Se però ci si prende il tempo di sfogliare e poi leggere le sue memorie calcistiche – dove la luce rossa fa spesso capolino – qualcosa in più si scopre. 

Su Vinicio, ad esempio, sono fiamme. “Non non ho mai avuto interesse ad avere rapporti con quelli che hanno solo le sembianze umane. Per questo, nonostante Napoli fosse una città meravigliosa con della gente bellissima, a fine stagione non vedevo l’ora di andarmene. Ero stanco di sopportare un allenatore come Vinicio che non riusciva a guardarmi dritto negli occhi e in quanto a sensibilità era incapace ad elevarsi sopra lo zero. Fu lui a volermi a tutti costi a Napoli, e nonostante i miei sforzi non ho mai capito perché. Se per caso gli dava fastidio che venti, trentamila tifosi napoletani venissero vedermi ad allenare e andassero in visibilio per i miei gol e le mie sgroppate, bastava dirlo. Piuttosto di farmi perdere tempo allo stadio, con tutto il lavoro del cazzo che dovevo sbrigare, me ne sarei rimasto volentieri all’albergo”.

Dove quel “lavoro” accenna alle intense attività amatorie del nostro, ampiamente esibite nel libro (uno dei quindici che ha scritto, tra racconti e poesie) e al quale attingiamo: “Vietato alla gente perbene” (Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2003). E nel quale, poche pagine dopo, svela anche l’arcano del volantinaggio di cui sopra. Doveroso riportarlo, giacché le cose un poco cambiano.

“Un giornalista mi chiedeva come avessi fatto ad organizzare il giorno prima allo stadio di San Siro quel volantinaggio che pioveva dall’alto. Io caddi dalle nuvole. E non avevo nemmeno un’idea di cosa fosse accaduto, anche perché nessuno mi aveva mai avvisato di niente. Poi, cercando di sforzarmi a capire chi potesse avermi fatto anche involontariamente una c….. simile, pensando a Milano associai mio zio Alex che non accettava il fatto che giocassi in serie C e per eccesso di amore soltanto lui avrebbe potuto organizzare dopo il D’Annunzio su Vienna, un volantinaggio su San Siro. E così quando gli telefonai, ebbi la conferma”. 

Date a Vendrame quel che è di Vendrame. Ad esempio il fatto che al Padova, in serie C, aveva deciso lui di andare, “per praticare un calcio minore”. 

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