Nell’arena di Roma, echi di gloria dei gladiatori azzurri

In una Roma trasformata in arena, il Napoli combatte come un esercito di gladiatori e conquista l’Olimpico con una sola, leggendaria stoccata. Cuore, coraggio e anima, nell'atmosfera infuocata del Derby del Sole, gli azzurri respingono ogni assalto e zittiscono l’arena giallorossa, ergendosi come eroi nei loro personali Campi Elisi. Una notte epica, in cui il tifoso napoletano ritrova orgoglio, forza e un sogno che torna a bruciare vivo.

Neres affonda la Roma - credits to Instagram officialsscnapoli.pngNeres affonda la Roma - credits to Instagram officialsscnapoli.png
Articolo di Giancarlo Moscato01/12/2025

C’è un silenzio sospeso su Roma, di quelli che sembrano respirare da soli, come se nella capitale, la città eterna, si sapesse che sta per accadere qualcosa che la farà vibrare. Le strade, illuminate da lampioni antichi, sembrano attendere il passo leggero ma deciso della Sirena Partenopea, guida indomabile di un gruppo di gladiatori venuto da lontano, ma abbastanza coraggioso da sfidare il cuore di Roma.

La squadra azzurra arriva nella notte tiepida avvolta da un vento di mare che pare portarsi dietro l’eco dei vicoli di Spaccanapoli e delle colline del Vesuvio, che per l’occasione sono dovuti rimanere rintanate a casa data la trasferta vietata ai campani. Lei, Partenope, guarda Roma con rispetto come si guarda una Regina, che fino a quel momento era seduta sul trono della Serie A. Ma negli occhi ha la fiamma di chi sa che l’amore per i propri colori è più forte di ogni timore.

La presa di Roma

Non è un’invasione fatta di stendardi e conquiste ma di emozioni. Le maglie azzurre si muovono leggere, come note di una canzone di Venditti che scorre nelle orecchie di chiunque ami davvero il calcio: malinconica, intensa, intrisa di storia, e soprattutto tra le mura dell’arena di casa giallorossa, l’Olimpico. La pulsazione è forte intorno allo stadio – arena.

Il Derby del Sole, stavolta finalmente in alta quota, sta per prendere forma. Sembra di sentire il ritmo di “Roma Capoccia”, ma quella sera, sul campo, a dominare è il cuore azzurro. Capitanati dalla sirena Partenope, i gladiatori azzurri brandiscono un’armatura fatta da una casacca azzurra bella come non mai, e più spade al suo tridente. Un Elmo fatto di cuore e anima, per andare a conquistare la preda, nell’arena giallorossa, ad un tiro di sasso dal Colosseo.

Tutto sta per contornarsi come uno scontro epico, uno scontro epico, degno di antiche notti: è il tempo dei miti e delle leggende. Il cuore del tifoso napoletano è un mix di adrenalina e timore, perché chi traina i forti cavalli della serie A potrebbe dare l’allungo potenzialmente decisivo.

I condottieri scendono in Arena bombardati di fischi, di chi sa che potranno avere quel colpo di coda e capovolgere la situazione. Gli uomini di Conte hanno quello sguardo, quello della tigre tanto agognato da Apollo Creed verso Rocky Balboa. Portamento fiero da guerrieri, e delicatezza di chi sa che deve infilare una sola stoccata, una soltanto, per mandare giù l’avversario.

E quella stoccata arriva, in un Creola linguistica che si districa dalle fredde lande danesi alle mete tropicali brasiliani. Parte Neres, stavolta occhi spalancati, dalla propria metà campo per servire in velocità il gigante Rasmus Højlund. Tiene l’avversario il danese, contiene il nemico spadaccino, mentre quasi in punta di piedi, il brasiliano nella città probabilmente più brasiliana di Italia, nella terra di Falcao, lascia un solco al centro del campo. Cristante è bruciato sullo scatto, il pallone è preciso del danese: Neres squarcia il cielo e va dritto porta.

A Roma la strada verso i Campi Elisi

«Al mio segnale, scatenate l’inferno». E l’inferno in un certo senso, è stato davvero scatenato: non fuoco e furore, ma determinazione, disciplina, coraggio e ordine dato dal condottiero Conte. Il Napoli combatte fino all’ultimo istante, respinge gli ultimi assalti della Roma come uno scudo che non vuole cedere.

Il segnale è arrivato preciso, diretto: l’inferno si è materializzato. L’azzurro che si libera, che mira, che colpisce. L’arena ammutolisce, come se il tempo si fosse improvvisamente fermato. È un gol che non è solo un gol: è una vittoria morale, una proclamazione di forza. I gladiatori azzurri si abbracciano sotto il cielo romano, mentre la città eterna resta sospesa tra rispetto e una grande ferita. Alla fine, quando il fischio spezza il silenzio finale, gli azzurri si ergono come vincitori nell’arena. Non conquistatori, ma guerrieri rispettati. Roma, maestosa ma delusa, osserva. Napoli, feroce e romantica, sorride. «Quanto sei bella Roma quand’è sera.» e con i tre punti tra le mani, lo sei ancora di più.

La vittoria azzurra porta i condottieri partenopei nei Campi Elisi, quelli mitologici, dove sono accolti gli eroi e le anime virtuose. Uno schiaffo a chi ha azzardato a mettere in dubbio la testa e la capacità di questo gruppo che ha reagito con una incredibile determinazione. Ora, chi è sceso da quel famoso carro, ha il dovere di restare giù. Questo percorso non si sa dove porterà i lottatori azzurri. Certo da Roma arriva una risposta potente, come se ancora ce ne fosse bisogno, di consapevolezza e voglia di vincere. Il cuore del tifoso azzurro è pregno di orgoglio, ed esce fuori dal petto in una notte fondamentale per il percorso.

Ma ora il Napoli è libero, proprio come Russel Crowe ne il Gladiatore: now we are free. Libero di volare e sognare ancora, ma il tempo di fermarsi non è ancora arrivato – «non ancora» – . Ciò da cui non si sarà mai liberi davvero, sono invece quelle frasi, quegli striscioni da voltastomaco che ancora campeggiano, come effigi medioevali. Banditori di una cultura bassa, che ha bisogno di una risposta secca: indifferenza e ironia.
E per scomodare il buon Vittorio Gassman, nel fil Il Gaucho diretto dall’immenso Dino Risi, come a voler ricordare, in tutto questo marasma di slogan vomitati: «senti ‘n po, m’ha fatto da passà di mente, c’avevo ‘na cosa importante da dì..ah si, che ha fatto la Roma?».

E il Napoli si cala perfettamente nelle vesti di Jep Gambardella ne La Grande Bellezza: «io non volevo solo partecipare alle feste (giallorosse), volevo avere il potere di farle fallire». Quella Grande Bellezza, a tinte tutte azzurre.

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