Mazzola. Tulèn, il capitano eterno
Raccontare Valentino Mazzola senza cadere nella retorica non è cosa da poco. Trovare il modo di farlo è un dovere morale. una missione dalla quale non ci si può tirare indietro e che Giovanni Tosco è riuscito meravigliosamente a portare a compimento nel suo libro “Mazzola. Tulèn, il capitano eterno”. Il Capitano del Grande Torino […]
Raccontare Valentino Mazzola senza cadere nella retorica non è cosa da poco. Trovare il modo di farlo è un dovere morale. una missione dalla quale non ci si può tirare indietro e che Giovanni Tosco è riuscito meravigliosamente a portare a compimento nel suo libro “Mazzola. Tulèn, il capitano eterno”.
Il Capitano del Grande Torino rappresenta da sempre un calcio ed una realtà che sembrano destinati a scomparire.
L’idea tremendamente attuale di un “calcio-azienda” è un’ombra minacciosa che oscura il talento, che rischia di chiudere la porta in faccia ad un passato glorioso e scolorire il futuro.
C’era una volta un calcio capace di sfornare talenti, accudirli, farli crescere, esprimere.
C’era una volta, sì.
Quando le coppe europee non si giocavano e non c’era nemmeno la tv.
Quando il calciatore era un artista, il pallone un pennello, il campo una tela su cui dare forma ai sogni.
Valentino Mazzola è il simbolo di questo calcio, un calcio che di fatto non c’è più ma che vive nell’eternità. E che, proprio perché eterno, ha la potenzialità di parlare a più generazioni, correndo più veloce del tempo in un mondo, quello attuale, che è esso stesso una corsa sfrenata alla ricerca del risultato, dei numeri, dei record.
Ecco, l’esempio di Valentino Mazzola è un invito a prendersi il proprio tempo, abbracciare un ideale, tirarsi su le maniche e fare la differenza. Essere diversi quando è più facile nascondersi nel tutto e subito.