Calcio e donne: l’abbinamento di queste due parole è ancora oggi un ossimoro
Vi sono ancora persone che considerano il calcio territorio esclusivamente maschile. La realtà dei fatti è che è una cultura primordiale.
©️ “NAPOLI-FEMMINILE” – FOTO MOSCA
Qualche giorno fa, mentre scorrevo tra un post e l’altro su Facebook, uno in particolare ha attirato la mia attenzione, intitolato “Voglio essere libera di amare il calcio come la filologia”. Era l’appello di una giovane ragazza che coltiva due grandi passioni: quella per il mondo letterario-filosofico e quella per il calcio. Letizia si è ritrovata ad affrontare gli stereotipi della gente semplicemente perché segue questo sport.
Questo un estratto:
“Sotto a un post relativo alla vittoria del Napoli, ho osato commentare con uno spontaneo “Forza Napoli sempre”, esprimendo la mia umile e pacifica opinione sull’annullamento del gol per fuorigioco al Milan. Apriti cielo. Subito, sotto a quel post, arriva una sfilza di risposte con insulti e offese al Napoli e al mio essere donna. Mi hanno detto che non sapevo neanche, come potevo, del resto, essendo donna, di che forma fosse il pallone, e che non dovevo occuparmi di calcio e uno addirittura mi ha lasciato un “vai a stirare” (ma io già amo aver cura della casa e aiutare mia madre). Concludo: è possibile che io o una mia amica possiamo sbagliare l’interpretazione e il giudizio di un episodio calcistico, ma non per questo dobbiamo essere attaccate come donne. Voglio essere libera di poter parlare di filologia, di faccende domestiche e anche di calcio, perché no”.
Esiste ancora una disuguaglianza di genere negli sport?
Nel corso della storia le donne si sono tanto battute per ottenere l’uguaglianza, ma ad oggi capita ancora che ti venga posta la domanda: “Ma cosa vuoi saperne tu?” “Non è uno sport per signorine”, “Le donne non possono parlare di calcio”, “Le donne nel calcio? No. O fanno le pulizie o stanno in cucina.”
Frasi dette pubblicamente e poi rimbalzate di bocca in bocca fino a divenire patrimonio genetico dell’italiano medio, che mai accetterebbe lo sconfinamento femminile in quello che da sempre costituisce il rituale tribale più maschile dei nostri tempi.
Ancora più illogico il ragionamento di chi osa paragonare il livello o il gioco del calcio maschile a quello femminile. Analizziamo qualche dato per comprendere perché non è possibile rapportare i due: il calcio maschile nasce nel 1863 e riscuote fin da subito gran successo; il primo incontro femminile ufficiale di cui si ha notizia invece è del 1895, a dare una spinta fu paradossalmente la Prima guerra mondiale: mentre gli uomini erano lontani, al fronte, le donne lavoravano in fabbrica e nelle pause o dopo il lavoro si ritrovavano e alcune di loro giocavano a calcio, formando squadre legate alle aziende.
Tuttavia, invece di incentivare la passione delle donne per questo sport, la Football Association vietò nel 1921 a tutte le squadre femminili di giocare a pallone su campi affiliati alla federazione. Il calcio, sostenevano i vertici della Football Association, non era “idoneo per le donne e non dovrebbe essere incoraggiato”. Sapete quanto durò questa interdizione? Fino al 1971, ben cinquant’anni. Mezzo secolo senza avere la possibilità di praticare una passione, di emanciparsi.
Talvolta a dominare è anche il pregiudizio, vi è mai capitato di affermare: “Un qualsiasi calciatore l’avrebbe fatto ad occhi chiusi”, “Guarda che gioco lento!”. Penso che, sempre che si voglia godere dello spettacolo al femminile, si debba cambiare il modo con cui lo si guarda, iniziando ad apprezzare altre cose e per un attimo accantonare il perenne paragone, sicuramente istintivo, con il calcio maschile.
Probabilmente, anzi, oserei dire “sicuramente” dalle esperienze che ho vissuto in prima persona, vi sono ancora uomini che considerano questo territorio esclusivamente maschile. La realtà dei fatti è che, come ha affermato Milena Bertolini, è “una cultura primordiale ancora esistente”, ma se si andasse oltre si renderebbero conto del mondo che c’è dietro ad una nazionale italiana femminile ad esempio, dove prevalgono ancora i valori: l’affetto, l’amicizia e l’amore per uno sport oltre al gesto tecnico e la grande audacia che le caratterizza.
La strada per abbattere i pregiudizi è ancora piuttosto lunga e faticosa, ma si sta raggiungendo un’incontrovertibile consapevolezza: lo sport è di tutti, a prescindere da chi lo pratica o da chi ne fa le voci.