Bisogna saper vincere, soprattutto con la calcolatrice
Andare in default per vincere è molto facile. In un calcio disastrato finanziariamente il Napoli rappresenta un'anomalia.
© “ADL” – FOTO MOSCA
Davvero credete che, oggi, fare il presidente di una squadra di calcio professionistico sia così semplice?
Perché se l’industria del calcio nostrano era già malata prima del febbraio 2020, oggi, a circa un anno e mezzo dall’inizio della pandemia di COVID-19, si trova a fare i conti con una crisi senza precedenti, in termini di sostenibilità economica e finanziaria.
Dove, paradossalmente, per vincere si rischia che il banco salti.
Parafrasando una canzone degli anni ’60, oggi bisogna saper vincere soprattutto con la calcolatrice.
A tal proposito voglio analizzare, insieme a voi, qualche numero tratto dal Rapporto Annuale sul calcio italiano, sviluppato dal Centro Studi FIGC in collaborazione con AREL (Agenzia di Ricerche e Legislazione) e PwC.
Partiamo da un presupposto: sicuramente il Covid-19 ha causato delle significative ripercussioni sul Sistema Calcio.
Pensiamo, in primo luogo, alla prolungata interruzione delle competizioni: Serie A, Serie B, Coppa Italia e coppe europee sono state infatti interrotte a marzo 2020, riprendendo solamente nel mese di giugno e terminando poi nell’agosto 2020. Ancora più rilevante il caso della Serie C: la regular season, infatti, è stata interrotta nel marzo 2020 e di fatto non è più ripresa, mentre nei mesi di giugno e luglio 2020 si sono disputati solo i play-off e i play-out.
Queste dinamiche hanno prodotto degli impatti significativi in particolare sui ricavi da diritti radiotelevisivi, sulle entrate derivanti dalla partecipazione alle coppe europee, sulle sponsorizzazioni e attività commerciali e sui proventi connessi alla gestione del parco calciatori (plusvalenze).
Ma un discorso analogo vale anche per le principali voci dei costi di produzione, a cominciare dagli stipendi, il cui ammontare nella stagione sportiva 2019-2020 si riduce rispetto alla precedente, poiché riflette anche la stipula degli accordi tra i club professionistici e il personale tesserato per la rinuncia ad alcune mensilità dei salari.
Gli effetti della pandemia hanno anche comportato l’obbligo di disputare le partite a porte chiuse senza la presenza di spettatori a partire dal febbraio-marzo 2020, con il conseguente forte decremento dei ricavi derivanti dal ticketing.
Le altre principali conseguenze prodotte a livello economico dall’emergenza sanitaria riguardano la chiusura degli store ufficiali e delle altre principali attività commerciali dei club, l’interruzione delle attività giovanili e del calcio femminile, nonché i costi connessi all’attuazione dei protocolli sanitari per la ripresa delle competizioni.
In sintesi la perdita aggregata di tutto il movimento del calcio professionistico ha raggiunto il dato record di 829 milioni di euro!
In altri termini, se ipotizzassimo un solo unico presidente di una squadra professionistica, lo stesso per coprire le perdite ed avere un patrimonio netto competitivo dovrebbe ricapitalizzare, mettere soldi propri, per circa 1 miliardo di euro!
Se vogliamo entrare poi nel merito del profilo economico-finanziario della sola serie A, dobbiamo premettere che per la prima volta nell’ultimo quinquennio analizzato (2015-2020), il massimo campionato italiano ha registrato un decremento nel livello del fatturato, circostanza attribuibile in larga parte al significativo impatto prodotto dall’emergenza sanitaria connessa all’epidemia da COVID-19.
I ricavi della Serie A si mantengono appena sopra i 3 miliardi di euro nel corso della stagione 2019-2020, con una variazione percentuale significativa pari al -10,2% rispetto al 2018-2019.
In particolare a fronte di una decrescita generale del fatturato nella stagione analizzata, i proventi da sponsorizzazioni e attività commerciali si sono mantenuti poco sopra i 541 milioni di euro (-14,9%). Prosegue il trend del decremento del fatturato da ingresso stadio, che scendono a 238,4 milioni di euro (-20,8%). Un risultato chiaramente influenzato dalla chiusura al pubblico forzata degli impianti a causa della pandemia da COVID-19.
Ma i primi dati relativi al ritorno allo stadio segnalano comunque un disaffezionamento del pubblico dallo spettacolo in presenza allo stadio. I numeri smentiscono infatti la narrazione di una Serie A povera per la mancanza dei suoi tifosi e danneggiata dal governo: i patron hanno contestato duramente il limite del 50% di capienza, ma fin qui praticamente nessuno lo ha superato. Lo dicono i numeri: secondo i dati del portale Worldfootball, nessuna squadra del campionato in queste prime giornate ha una media spettatori pari al tetto del 50% fissato dalla normativa.
E anche il trend dei ricavi da diritti TV e radio che rappresentano la principale componente di entrata per i club partecipanti alla Serie A, appare tuttavia in leggero decremento: l’incidenza di tale fonte di ricavo sul fatturato è scesa infatti dal 46% del 2015-2016 al 42% del 2016-2017, per poi attestarsi al 40% nelle successive 3 Stagioni Sportive.
Solamente le plusvalenze derivanti dalla cessione dei calciatori continuano il loro trend di crescita rispetto alla precedente stagione (+3,6%, passando da 712,7 a 738,7 milioni di euro). E la spiegazione l’abbiamo data la settimana scorsa: le plusvalenze sono il tappeto (spesso taroccato) che nasconde la sporcizia!
Ma quale è la prima strategia attuata da un imprenditore quando cala il fatturato? Il contenimento dei costi! Di tutti i costi e non solo, prassi consolidata nel mondo della imprenditoria, del costo del lavoro. Anche per gli imprenditori, tranne rare eccezioni, che possiedono una società di calcio in serie A.
Come già registrato nella precedente stagione, infatti, continua a crescere il costo della produzione, che raggiunge quota 3,6 miliardi di euro, con un aumento di circa 106 milioni di euro (+3,0%).
In confronto al 2018-2019, in particolare, risultano in crescita le componenti di costo relative agli ammortamenti/svalutazioni (e qui i motivi sono sempre quelli legati alle plusvalenze ed all’abbellimento di facciata del bilancio) e i costi per servizi, rispettivamente pari a 1.087,7 (+24,9%) e 465,4 (+1,6%) milioni di euro.
Di contro, diminuiscono tutte le altre componenti e in particolare il costo del lavoro, che si riduce di quasi 89 milioni di euro (-5,1%).
Dal punto di vista finanziario, con un livello pari ad oltre 4,7 miliardi di euro, cresce ancora l’indebitamento complessivo dei club di Serie A (+9,4%).
Siamo ancora convinti, in questo scenario, laddove il calcio riflette la condizione economica del paese, che dalle nostre parti il tutto si debba risolvere con un “Pappò cacc’ ‘e sord”?
Ma i tifosi del Napoli hanno dimenticato cosa ha significato per la storia del club una gestione finanziaria un po’ allegra?
Anche perché, altro elemento di analisi fondamentale, si sta riducendo il divario tra medio-piccole e grandi società, sia in termini di ricavi che a livello di costi. In particolare, diminuisce l’incidenza dei primi 5 club (Juventus, Inter, Napoli, Milan e Atalanta) in termini di fatturato sul totale del valore della produzione della Serie A, passando dal 57% della Stagione Sportiva 2018-2019 al 53% del 2019- 2020. Analogamente, anche in termini di costo della produzione si osserva un trend simile, poiché le prime 5 società (Juventus, Inter, Milan, Roma, Napoli) contribuiscono per circa il 53% del totale dei costi, rispetto al 58% del 2018-2019.
E la limitata disponibilità di risorse economiche continua ad avere una forte correlazione con i risultati sportivi; infatti, solamente in una stagione delle ultime 12 analizzate la società vincitrice della Serie A non è risultata essere al tempo stesso prima nel ranking del costo del lavoro.
Andare in default per vincere è molto facile!
In questo scenario, vogliamo dare un merito a chi, all’ombra del Vesuvio, gestisce il miglior bilancio della serie A e continua ad avere risultati sportivi da fascia alta?