Esiste davvero il “Sarrismo”?
Sarri torna a essere vittima dei media. Il tecnico, con la sconfitta di ieri, fa accendere un dibattito: il "Sarrismo" esiste o no?
© SARRI – SARRISMO – FOTO MOSCA
Negli ultimi anni sta trovando terreno fertile l’inclinazione a dover definire lo stile di gioco di un allenatore come una filosofia. In alcuni occasioni viene aggiunto il suffisso –ismo al nome dell’allenatore; in altri casi, ha un proprio nome e cognome. Dal tiki taka al corto muso.
IL SARRISMO ESISTE?
Quel gioco dinamico, aperto, spavaldo, vincente (fino ad un certo punto), divertente, è davvero esistito o è stata una congiunzione astrale? Per rispondere a questa domanda, bisogna guardare la carriera di Maurizio Sarri a tutto tondo; non limitarsi al periodo di carriera “dopo Napoli”. In questo caso, si è semplicemente vittima di pene d’amore nei confronti dell’ex “comandante”. Partiamo, infatti, dalla prima panchina di alto livello: Empoli.
IL PRIMO GRANDE IMPIEGO
Maurizio Sarri, dopo la trafila nelle squadre minori, arriva ad Empoli nel 2012. L’anno precedente, la squadra toscana non è retrocessa in Serie C grazie a “Big Mac” Massimo Maccarone. L’attaccante, incarnandosi in “hombre de la pelicula”, rievocando Martin Palermo, sigla il gol vittoria al novantaquattresimo, garantendo la permanenza in Serie B alla sua squadra. Sono queste le basi sulle quali dovrà lavorare Sarri, una squadra non retrocessa in Serie C per disegno divino.
Partendo da lì, nomina i suoi apostoli: Riccardo Saponara, Mirko Valdifiori, Lorenzo Tonelli, Elseid Hysaj, “Ciccio” Tavano, Manuel Pucciarelli, Levan Mch’edlidze e “Big Mac” Maccarone. Il primo anno si ottengono buoni risultati, quarto posto nella stagione 2012/2013. La squadra non accede alla massima serie per via del Livorno, che li batterà in finale. Appuntamento solo rimandato, poiché l’anno dopo non ci saranno play-off: secondo posto e “bentorn(A)ti“. Arriva la Serie A, quindicesimo posto guadagnato da neopromossa e ottavi di finali di Coppa Italia raggiunti.
Cosa si può analizzare di queste tre stagioni e di questi trionfi? Maurizio Sarri viene messo nelle condizioni di lavorare. Nessuno riesce a garantire spettacolo e risultati con uno schiocco di dita. In tre anni, nelle condizioni ideali in cui un allenatore dovrebbe allenare, pone le basi di una squadra che in Serie A darà spettacolo. Infatti, arriva la telefonata da parte della prima big.
A NAPOLI SCRIVE (QUASI) LA STORIA
Ereditando la squadra di Rafael Benítez, nella stagione 2015/2016, Sarri inizia la sua epopea. Inizia a chiamare alcuni dei suoi apostoli, ponendo le basi per il grande Napoli che ha in mente. I primi due anni si supera la soia degli ottanta punti, conquistando un secondo posto prima, ed un terzo poi. Con ben due anni d’esperienza napoletana alle spalle, le basi sono più che solide per fare qualcosa di grande. La stagione 2017/2018 potrebbe essere quella giusta, quella tanto amata e sognata. Purtroppo sappiamo tutti come è andata a finire. Di certo, nonostante questo cruccio, non si può negare che il tecnico toscano qui ha svolto un ottimo lavoro. Ha fatto divertire, gioire, sperare, emozionare; ciò che vedremmo di nuovo solamente quest’anno con Spalletti. Anche sta volta, cosa salta all’occhio? 3 anni di lavoro. Continuità, ambiente -per quanto difficile- giusto per lavorare, fiducia.
ALLA RICERCA DEL CIRCO
Dopo aver fatto divertire non solo toscani e campani, ma tutto il mondo, il Chelsea ingaggia Maurizio Sarri. Per la prima volta nella sua carriera si trova a dover gestire campioni assoluti, affermati, di rango e di spessore totalmente diverso. L’ambiente anche è diverso, non solo perché dal caldo sole napoletano arriva nel grigiore del cielo londinese. I risultati, paradossalmente, arrivano. Europa League in bacheca. Per quanto si sia detto su questa vittoria, magari arrivata perché semplicemente aveva a disposizione una squadra di campioni, non è possibile che i calciatori scendessero in campo ogni domenica con le stesse indicazioni date ai calciatori del Milan, da parte di Ancelotti, contro la Roma: “Non ho nulla da dirvi, fate quello che volete“.
Comunque, non si può di certo dire che il gioco sia stato convincente. Motivo? un solo anno di tempo. Non solo sulla panchina del Chelsea, ma nella Premier League, ed a quei livelli. Le differenze abissali tra la Premier League e la Serie A non sono di certo da ribadire in questa sede.
Arriva la chiamata di Agnelli. Dopo una lunghissima serie di vittorie, si cerca di far vivere ai tifosi juventini le stesse sensazioni vissute dai napoletani. In quel passaggio, sembra quasi che Agnelli consegnasse a Maurizio Sarri le chiavi della storia della Juventus, rivoluzionando completamente il famoso “stile Juve”, tipico di questi anni. Qui incontra altre difficoltà, come la gestione di uno dei calciatori più forti di sempre, Cristiano Ronaldo. Il portoghese non è proprio l’archetipo del giocatore ideale di Sarri; quello a cui dire di giocare di prima, di correre, di tornare, d’inserirsi in determinati momenti. Anche perché arriva un Cristiano più che maturo. Qui, stessa storia, un solo anno di tempo. Arriva, comunque, un trofeo. Il gioco? Non arriva.
Per entrare nei meccanismi del gioco di Sarri e del “Sarrismo” occorre tempo. Immettere nella testa dei calciatori una serie di schemi, situazioni di gioco, idee, non è semplice come qualcuno pensa. Per poter rivedere la “macchina perfetta” di Napoli, non bastano sei mesi d’aspettative e altri sei in cui è più fuori che dentro.
LAZIO
Dopo un anno di stop, si ripresenta l’occasione di allenare una grande squadra: I biancocelesti della capitale. Sono passati scarsi quattro mesi di campionato, Sarri non ha ancora convinto gran parte dei media, salvo qualcuno laziale per la vittoria nel derby. I risultati che sta ottenendo, non sono dei migliori. Dato che il “Sarrismo” non si vede più da qualche anno, secondo taluni è opportuno porsi una domanda.
“Il Sarrismo esiste davvero?”
Risposta: Si. Maurizio Sarri è un allenatore con le sue idee, tralasciando se siano traducibili in concetti filosofici o meno, con il suo gioco e con i suoi punti deboli. Il motivo per cui il suo gioco non si sia visto fuori da Napoli ed Empoli è semplice. Non occorre l’uso smodato della retorica: senza tempo, fiducia, condizioni per poter lavorare -anche sbagliare-, non si arriverà mai alla macchina perfetta decantata in tutto il mondo. Motivo per cui ha trionfato dove ha lavorato, non lo ha fatto dove di tempo non ne ha avuto.