Maradona raccontato da avversari e compagni
Maradona non lo si racconta attraverso statistiche e numeri, bensì attraverso i momenti. Quelli che ci hanno raccontato suoi grandi ex rivali e compagni.
Vi siete mai accorti che quando si narra di Diego Armando Maradona difficilmente si citano numeri, statistiche e record? Eppure ce ne sono stati. Dalle strade di Napoli al più squinternato barrio sudamericano, dal bar agli studi televisivi, quando Maradona è al centro del discorso, di lui si raccontano i momenti. Molti di questi nati in classiche domeniche dallo squisito sapore di calcio. Era troppo forte, però, per far legare tali eventi solo a sè stesso. Alcuni di questi, infatti, sono annodati a campioni con cui noi di SportDelSud abbiamo avuto l’onore di parlare: Fulvio Collovati, Salvatore Bagni e Giancarlo Corradini.
Il rapporto con gli avversari
Il granitico difensore Collovati, eroe del mundial 1982, ha raccontato cosa significhi giocare contro “il capostipite dei numeri 10” (come egli stesso lo ha definito), facendolo nel migliore dei modi, raccontando aneddoti di un calcio che, purtroppo, è molto lontano da quello che viviamo oggi.
“Maradona sapeva che era vittima di molti falli, non ha mai pianto, a differenza del calcio di oggi in cui si fanno molte sceneggiate. L’ho visto sempre rialzarsi, anche dopo falli più duri. Ricordo un episodio: gli feci un fallo, l’arbitro corse ad ammonirmi ma Diego lo fermò, gli disse che non era il caso di ammonirmi e che non si fosse fatto niente. Era davvero generoso con tutti, io l’ho vissuto solo da avversario ed addirittura è venuto in mio soccorso”.
Purtroppo, o per fortuna per certi versi, solo alcune persone hanno affrontato una notte sapendo di dover giocare contro il calciatore più forte della storia. Collovati ha spiegato come Franco Scoglio, suo allenatore al Genoa, visse la settimana che avrebbe portato la squadra ad affrontare il Napoli di Maradona:
“Dovevamo andare a Napoli, mister Scoglio, che purtroppo non c’è più, disse per tutta la settimana, dal martedì al sabato mattina, che giocatori come Maradona andassero marcati soltanto a zona. Lo ha ribadito davanti a tutti e tutta la settimana. La domenica mattina, però, entra nella camera mia e di Signorini assicurandosi che lo avremmo marcato a uomo. Si rese conto che marcandolo a zona non ne saremmo usciti più, ma lo disse soltanto a noi.”
Differenza tra campione e genio
Nell’estate del 1984 Maradona arriva a Napoli, con lui, anche Salvatore Bagni, reduce da un triennio con la maglia dell’Inter. I due sono stati per quattro anni compagni di squadra, portando a casa il primo, storico, scudetto. Insieme al centrocampista emiliano sono state evidenziate le differenze che intercorrono tra una squadra di campioni, ed una squadra in cui vi è un genio.
“Giocare con Diego ti da la possibilità di giocare in tanti modi diversi. Anche se alcuni compagni non erano in giornata bastava passargli il pallone, ci avrebbe pensato lui. Un calciatore forte come Maradona, oltre a segnare parecchi gol e fornire molti assist, era anche un grande uomo squadra. Per di più, spesso veniva anche marcato da due o più uomini, ciò significava che qualcuno si liberasse, dunque aveva più opportunità di segnare. Era generoso, libero, faceva quello che voleva ma sempre nell’interesse della squadra, mai per sè stesso“.
Allenarsi con Maradona: poche persone possono vantare questo privilegio. Dall’emozione che trapela dalle parole di chi lo ha vissuto, però, sembra davvero di vederlo ancora palleggiare al Centro Sportivo Paradiso. O almeno, è meraviglioso poterlo immaginare.
“Vedere allenare Maradona era un vero e proprio divertimento. Eravamo esterrefatti nel guardarlo. Ci ha fatto vedere cose che nessuno mai ci ha fatto vedere, era felicità pura: amava il pallone, era la sua vita. Arrivare in campo per l’allenamento e vederlo era davvero tanta roba!”
Il Napoli di Maradona e il Napoli senza Maradona
Diego ha unito popoli colpendo il pallone con ogni parte del corpo, arrivando a toccare il punto più profondo del cuore dei tifosi. Sia a Napoli, sia fuori, ha stampato ogni suo gesto nella leggenda. Privarsi, dunque, di tale presenza all’interno dell’ambiente, sembra davvero impossibile. A raccontare la differenza tra l’avere nella propria squadra il più forti di tutti e poi esserne privi, è stato Giancarlo Corradini.
“È stato come disputare un Gran Premio prima con una Ferrari e poi con una 500. Con Diego Maradona potevamo fare affidamento su un carro armato, senza di lui avevamo un carretto. La sua forza la sentivamo quando scendevamo in campo, ti dava una carica favolosa, non si permetteva mai di dare giudizi negativi. Non solo in partita, ma anche in allenamento si è subito notata la differenza: quando puoi allenarti col più grande calciatore di tutti i tempi, e ami il calcio, è un emozione veramente unica ed eccezionale.”
Davanti a dichiarazioni del genere, raccontate con una vibrante e travolgente emozione, sembra proprio che il difensore sia rimasto stregato da qualche giocata particolare, magari che ancora oggi porta con sè. Invece, la sua risposta, fa davvero capire la reale grandezza, sotto il punto di vista calcistico, del Pibe de Oro.
“A tutti viene fuori un grande colpo almeno una volta. Lui compiva magie quotidianamente. Ripetere colpi da maestro giornalmente, faceva davvero capire la sua superiorità rispetto a chiunque altro. Noi capimmo che eravamo giocatori normali e ci trovavamo difronte ad uno che normale non lo era”.
Maradona, come si può ben capire da tutte le dichiarazioni provenienti da chi lo ha vissuto, è stato sempre generoso, premuroso, sensibile, sincero. Forse è stato questo, unito a tutte le emozioni e tutto il divertimento provocato in campo, a renderlo davvero eterno. Ciò che lo ha reso di tutti, dalle case più borghesi di Parigi al più povero quartiere del Messico.