Sport, l’arcipelago che non c’è

Come è quanto è cambiata la possibilità di fare sport a Napoli? Il gap rispetto al nord non è stato ancora colmato.

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Articolo di Luciano Scateni26/11/2021

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Che noia le ore che solo qualche decennio fa rendevano la trasferta da Napoli a Milano una stancante disavventura, per lo scarso comfort di treni rumorosi, sbuffanti, ancora socialmente discriminanti, per le tariffe economy della terza classe, privi di aria condizionata. Esaurita la lettura di un quotidiano e di qualche pagina dell’ultimo giallo Mondadori, non restava che osservare il rapido mutare del paesaggio nella tratta Napoli-Milano, in allontanamento dal Vesuvio. Oltrepassata Roma, di qua e di là dei binari suscitavano giustificata invidia gli intervalli tra città e città, le periferie urbane, le distese di verde che accoglievano impianti sportivi di ogni genere, alcuni in pieno esercizio, a disposizione di tennisti, calciatori, appassionati del basket.

Si dipanava spedita la riflessione sul privilegio di quegli italiani, di fare sport con tutti i comfort. Strideva il confronto con le insormontabili difficoltà dei ragazzi napoletani, in mancanza di campi di calcio, tennis, pallacanestro, nuoto. Non si faceva abbastanza per cancellare questo handicap di non poco conto, per aprire strutture di quartiere, favorire lo sport dilettantistico, per offrire l’alternativa a partite di calcio disputate nelle strade senza o con scarso traffico automobilistico, con le pile di libri di scuola a delimitare l’ampiezza delle porte.

Protestavano i passanti, sfiorati dalle pallonate e una volta rientrati in casa si subivano le urla dei genitori per lo stato delle scarpe rovinate dall’asfalto del “terreno di gioco”. Come, quanto è cambiata la possibilità di fare sport a Napoli? Ad eccezione di qualche struttura realizzata in occasione dei mondiali del ’90, non curata con la manutenzione ordinaria, divenuta quindi inutilizzabile, il diritto alla salute fisica, indispensabile quanto la formazione culturale è ancora largamente negata. Colmare questo vuoto di opportunità è impegno di media, lunga distanza. All’utopia di promesse al vento di rimediare, non mantenute, c’è poco da opporre e il poco si scontra con ostacoli irremovibili.

Il solo sbocco, in grado di interrompere la crisi di astinenza, per quanto a dimensione parziale, sarebbe la disponibilità ad aprire al sociale, al quartiere, delle palestre scolastiche nelle ore pomeridiane. Apriti cielo, le pastoie della burocrazia, la comoda inerzia del non fare, si sono sempre opposte motivando il ‘no’ con presunte insormontabili difficoltà, prima fra tutte l’onere di pagare il personale per il lavoro supplementare. E cosa si aspetta a recuperare impianti colpevolmente abbandonati, ad esempio, perché non si espropria la struttura dello ’Sferisterio, a Fuorigrotta, dove molti anni fa si disputavano le gare di pelota basca? Perché non si progetta nel parco Virgiliano un centro di attività sportive compatibili con gli spazi disponibili?

Ben vengano, ma con moderazione, le iniziative per ricordare la grandezza calcistica di Maradona, ma è proprio necessario (dichiara De Laurentiis “Ne metteremo tante”), che Napoli sia adornata ovunque di statue del pibe de oro? Il mitico calciatore non avrebbe preferito che parte delle risorse destinate al suo museo, alle statue, sia impiegato per lo sport di tutti?

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