Uso improprio dello sport
Nella “Giornata della memoria”, è doveroso ricordare l'utilizzo strumentale che i regimi totalitari hanno fatto e fanno ancora dello sport.
È così scontata, diffusa, condivisa, l’idea della qualità della vita dipendente esponenzialmente dall’allenamento paritario di fisico e mente? No e su questo ragionevole, quanto disconosciuto dualismo si innestano non pochi eventi speculativi dello sport, in generale dell’attività muscolare.
Nella “Giornata della memoria”, è dovere dell’umanità ricordare il rapporto strumentale del nazifascismo con questo elemento fondamentale della vita. Dittature e regimi totalitari hanno usato l’attività fisica per supportare ignobili farneticazioni, che partendo dalla vantata superiorità della razza ariana hanno tentato di legittimare la tragedia della shoah, dello sterminio degli Ebrei vittime del genocidio nazista. Il “Ventennio” fascista si è appropriato del tema e lo ha deviato in propaganda, per acquisire consensi di massa all’insegna di potenza e supremazia razziale. Contemporaneamente ha imposto la subordinazione degli italiani all’obbedienza cieca, concetto ben descritto dallo slogan “credere, obbedire, combattere”.
L’indottrinamento non ha lasciato fuori le donne, i giovanissimi, perfino i bambini. In parallelo la sterzata si è connessa alla preparazione militare, prologo della sciagurata dichiarazione di guerra. Marce, esercitazioni, prove di coraggio, disprezzo del pericolo, così l’arruolamento dell’italiano “nuovo”: da 4 a 8 anni Figli-Figlie della Lupa, da 8 a 12 Balilla e Piccole Italiane, da 12 a 14 Balilla Moschettieri, da 14 a 18 Avanguardisti e Giovani Italiane, da 18 a 21 Giovani fascisti Universitari e Giovani Fasciste Universitarie: “Libro e moschetto fascista perfetto”, Concorso Dux, Littoriali dello sport.
Il calcio, il calcio piaceva molto al fascismo. Il calciatore era metafora del soldato in battaglia che si sacrifica “per l’onore e la gloria dell’intera squadra”. Vittoria del mondiale, Stadio Olimpico, 1934. Cinquantamila gli spettatori, canti e inni fascisti, sventolar di fazzoletti con il nome del Duce. Tutto questo, esasperato in chiave nazista, avveniva in Germania e non è da meno la strumentalizzazione dello sport di regimi dell’Est, come la rappresenta enfaticamente la Cina.
È altro l’obiettivo, con qualche punto in comune, che motiva l’irruzione di grandi potentati economici nel mondo dello sport. Spesso contrattano sponsorizzazioni per ottenere rilevanti ritorni pubblicitari. Con intenti paralleli si registrano totali acquisizioni di società, squadre. Più raramente, ma con identico esito, giganti della finanza e di settori in espansione, snaturano la ragion d’essere dello sport, l’attività fisica, fondamentale per la natura dell’uomo, di una vita sana, competitiva nella giusta misura, solo per ottenere visibilità.
Cosa condividere del successo di sport individuali e soprattutto collettivi che s’impongono grazie a finanziatori in condizione di impegnare risorse cento volte più grandi di altri? Nel contesto generale della pandemia e comunque di capacità d’investimento relativamente limitate si iscrive la legittima e impossibile aspettativa di ogni squadra di puntare alla vetta del campionato. È di questi giorni una riflessione del Calcio Napoli sulla necessità di dimensionare il bilancio alle conseguenze di una crisi pregressa del calcio e della pandemia. Stipendi ridotti, giocatori che emigrano e contemporaneamente concorrenti che sborsano cifre stratosferiche per ingaggiare grandi talenti, uno per tutti l’emergente Vlahovic.