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Abbasso l’Uefa: sembrava Andrea e invece era Aurelio

De Laurentiis

© AURELIO DE LAURENTIIS – FOTO MOSCA

Che palle, questo Andrea Agnelli. Non pago e non domo, continua ad attaccare l’Uefa. Persino dal pulpito del Daily Mail.

Nel dettaglio: «Non funziona più. La Champions e l’Europa League non generano entrate sufficienti per giustificare la partecipazione dei club». Un classico. Avanti: «Per essere competitivo hai bisogno di tanti giocatori di alto livello. Ciò significa che devi spendere di più e il premio in denaro delle competizioni europee non ne tiene conto. Ecco perché i club hanno bisogno di parlare tra loro per creare un torneo più moderno e redditizio per tutti i partecipanti».

Ops. Altro argomento trattato, il taglio delle squadre nei campionati domestici. Ha ormai gli anni del ponte di Messina: «Bisogna diminuire il numero di partite, riducendo le dimensioni delle migliori divisioni in Europa. Inoltre, creiamo un campionato europeo con un sistema d’ingresso democratico, basato su ciò che le squadre ottengono nelle competizioni nazionali. Ho esaminato un progetto pronto a portare 10 miliardi di euro al gioco europeo».

E poi gli inglesi. «Noi italiani dobbiamo imparare dalla Premier. Se non cambiamo le regole del gioco e non lo rendiamo uno spettacolo migliore, i giovani ci abbandoneranno e il calcio non sarà più parte centrale della nostra vita. La mia ricerca mi dice che le persone tra gli 8 e i 25 anni hanno smesso di guardarlo e preferiscono giocare con lo smartphone, diavolerie che hanno completamente trasformato i nostri figli. Non sto dicendo che l’abitudine di guardare le partite allo stadio morirà, ma ora abbiamo lo stadio virtuale che può attirare miliardi di persone a giocare gli uni contro gli altri. Chissà se riusciremo a riportarli sulla strada dello sport più grande e influente del mondo?». Chissà.

Nel frattempo, al lavoro. Contrordine. Mi informano dalla regia che non era Agnelli, il dirigente intervistato dal Daily Mail. Era Aurelio De Laurentiis in persona. Credo che l’equivoco sia nato dal fatto che, tranne l’accenno di «un ingresso democratico» al fantomatico campionato europeo, il padrone del Napoli la pensa, esattamente, come il presidente della Juventus. Stessi concetti. Stessa volontà di riformare le coppe. Stessa paura che l’attuale esperanto degli gnomi di Nyon non seduca i ragazzi dello smartphone accanto.

Alleati a loro insaputa, verrebbe da chiosare, A&A. Anche se le telefonate da Napoli a Torino, prima che la Superlega scoppiasse come un palloncino e dalla «Costa Discordia» scappassero tutti meno tre, proprio rare, casuali e distratte non furono.

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