Arbitri, perché non servono le espulsioni a tempo: le leggi ci sono già, basta applicarle
Espulsioni a tempo? Sono a disposizione il cartellino giallo e il cartellino rosso. Basta impiegarli.
Attorno al calcio ci si muove come in sala operatoria: con la differenza che il bisturi passa di camice in camice e, per questo, l’intervento non finisce mai. Era lo sport più conservatore, sta diventando un porto di mare. L’ultima riguarda l’espulsione a tempo (dieci minuti) per falli tattici e proteste. Lo riportava la «Gazzetta dello Sport» del 29 novembre. L’International Board ha dato l’ok: avanti popolo fin dalla Coppa d’Inghilterra (Fa Cup) della prossima stagione. Tutti galvanizzati, i primari, dai test effettuati nei laboratori dei baby britannici.
Sono perplesso. Magari, dopo averne toccato con mano gli effetti, cambierò opinione, mi adeguerò. Intanto, però, mi chiamo fuori. Non si tratta di essere tradizionalisti o progressisti: è l’idea in sé che non mi convince. Sarebbe come affiancare leggi speciali alle leggi vigenti per perseguire gli stessi reati. Ripeto: gli stessi. Sono a disposizione il cartellino giallo e il cartellino rosso. Basta impiegarli. Basta non sterilizzarli.
A margine, inoltre, la procedura contribuirebbe ad allungare il brodo, in determinati «menù» già di 100-115 minuti a scodella. La tappa cruciale è capire e far capire che oggi si arbitra in due. Uno in campo, con diritto di voto e di veto; e uno davanti al video, con dovere di segnalare «fotte» chiare ed evidenti. La televisione ha spinto la tecnologia; la tecnologia, da parte sua, ha alzato l’asticella di una giustizia che vorremmo abbinare alla chimera della perfezione. Goal line e Var hanno rivoluzionato e spostato i confini. L’uomo solo al comando è sempre meno solo e sempre meno al comando. Nel senso che lo condivide.
Fino all’alba dei Novanta governavano i difensori. Da allora il potere l’hanno preso gli attaccanti. La caccia al gol, scandita dalle traduzioni più stravaganti delle regole – 17, dalle origini – ha prodotto una tale esplosione di cavilli e codicilli da terrorizzare la lettura delle partite. Ci sono meno errori, sì: ma ce ne sono di «nuovi», ignoti alle dottrine del secolo scorso. Penso ai pestoni che la moviola trasforma in contatti fatali e letali. Guai a rivisitare uno «step on foot» al rallentatore: renderà eterna – e, dunque, mortale – persino la più innocente delle pedate. Dipendesse da me, lo proibirei. Sentenza «a velocità normale» e stop. La scienza ha quasi espulso gli assistenti, i guardalinee d’antan, e la frontiera computerizzata, con tanto di sala Nasa a Lissone, scorta e condiziona la missione dell’arbitro. Prima che sia troppo tardi, fin dall’età scolare bisogna inculcare negli aspiranti che non torneranno i fasti dei Concetto Lo Bello e dei Gigi Agnolin.
Si arrendano: saranno due. Gli sceriffi del basket, in fin dei conti, sono saliti da due a tre: e, come si dice in gergo, non è morto nessuno. Ecco perché l’espulsione a tempo, tipo rugby, non mi eccita. Tra mani-comi e fuori-giochi all’alluce non si sa più come uscirne; è un labirinto dentro il quale si è ficcata addirittura la tecnologia, che in alcuni casi risolve e in altri decide. Se mai, mi batterei per il tempo effettivo (30’), anche se applicarlo non sarebbe per nulla semplice. Il calcio ha una liturgia molto più complessa dei riti cestistici, per esempio, e bloccare il cronometro ogni volta che la palla esce, diventerebbe, temo, più un problema che una soluzione. Ancora dalla «Gazzetta» vi giro l’ennesima chicca: Pierluigi Collina ha annunciato che «al Mondiale per club [in Arabia] verrà sperimentata un’evoluzione del fuorigioco semi automatico: gli arbitri riceveranno una notifica quando il giocatore è in offside di oltre 50 centimetri, in modo simile a quello che succede già con la goal line technology». E se lo è solo di 49? Auguri.