Sul divorzio alla Bobo tv, rimpiango la rubrica di «Cuore»: E chi se ne frega
La Bobo Tv era sbarcata addirittura sugli schermi Rai nelle notti mondiali del Qatar, autunno 2022, perle ai porci - o porci alle perle? ari-boh.
Leggo che il quartetto della Bobo tv ha smobilitato. Lele Adani, Antonio Cassano e Nicola Ventola se ne sono andati o sono stati cacciati dal padrone di casa (Christian Vieri detto Bobo, appunto). Boh. A turno, si sono sfogati tutti. Sempre a turno, quasi tutti hanno minacciato querele. Non poteva non infilarsi Fabrizio Corona, con le sue soffiate e le sue polpette avvelenate: pecunia non olet.
Hanno scritto di attentato alla libertà di opinione. Mah. Hanno accusato Vieri di essersi venduto ai padroni (la radio tv della Lega calcio o qualcosa di simile). Hanno tirato in ballo la di lui manager, Valentina Cammarata. Hanno chiosato che l’etere non sarà più quello di prima. La Bobo Tv era sbarcata addirittura sugli schermi Rai nelle notti mondiali del Qatar, autunno 2022, perle ai porci – o porci alle perle? ari-boh – ma con arpeggi così casti, così infantili, così innocenti, da far sbadigliare persino la buon costume. Vietato alzare la voce o sguainare la sciabola come nelle dispute originali, a conferma che ognuno si agghinda e s’inchina al galateo del canale che lo invita. E lo paga.
Mai vista una volta, la Bobo Tv. Non è un merito, non è una colpa (spero). E’. Ne ho recuperato alcuni estratti, questo sì, dalla caccia di Adani e Cassano a Massimiliano Allegri – safari al quale, nel mio piccolo, ho preso parte anch’io- alle «plusvalenze le facevano tutti» di Fantantonio (se lo sentisse Enrico Varriale, uhm).
Negli anni Novanta, «Cuore», settimanale satirico di resistenza umana, teneva una rubrica che cito spesso a modello: «E chi se ne frega». Qualche esempio, ricavato dall’archivio: «L’ufficio di Roberto Formigoni è al piano terra di un edificio in mattoni rossi (Giancarlo Perna, Europeo)». Oppure: «Il bambino a un certo punto comincia a parlare, il cane no» (Michele Nania, Vivere, inserto de La Sicilia)». Tra i direttori si alternarono Michele Serra, Claudio Sabelli Fioretti e Andrea Aloi, poi mio «editor» al Guerin Sportivo. La crème del giornalismo.
Ci saranno orfani, non escludo vedove o vedovi, pronti però a cogliere l’attimo e a sposarsi di nuovo (dove o con chi, non so). Scommettiamo? (verbo di gran moda). L’universo del web e dello streaming è una fabbrica che, come sognava Sergio Marchionne, non va mai in vacanza («in vacanza da che?»), sempre sul pezzo, sempre sul prezzo, morto un quartetto se ne fa un altro. Ieri, oggi, Adani. I pulpiti non mancano, le cattedre neppure. E il «trash-talking» (linguaggio spazzatura) sta diventando una sorta di esperanto; era il 1984 quando a Leopoldo Mastelloni scappò la prima bestemmia in diretta tv (a «Blitz» su Rai 2, per la precisione). L’anno in cui Diego Armando Maradona si presentò a Napoli e al Napoli. La Santa Inquisizione non scherzava e non scherza. In dubio pro deo, mica pro reo.
Non che la Bobo eccetera si sia spinta a tanto. Però si è divisa. Dal patto allo sfratto. A furia di atteggiarmi a scettico blu, mi accorgo di averci scritto sopra un sessantello. Non importa se per comunicare e denunciare che non me ne poteva fregar di meno. Né c’entra la «vita alta», che magari potrebbe avermi dato alla testa, in rapporto alla «vita bassa», più ruspante, raccontata da Alberto Arbasino.
E se l’avviso di divorzio fosse stato esclusivamente un mezzuccio per «calientare» l’audience, per titillare il pancino della curva? Ci farei una pessima figura. Temo di averla già fatta: se non me ne frega(va) un tubo, perché sono ancora qui a pestare sulla tastiera? Chiedo soccorso alla vena satirica di Leo Longanesi: «Tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola». Il signore sì che se ne intende(va).